lunedì 28 novembre 2011

LA GIORNATA MONDIALE DI MR PARKINSON

28.11.2011
LA GIORNATA MONDIALE DI Mr PARKINSON

Domenica 27 novembre 2011 era la Giornata Mondiale di Mister Parkinson, mentre il giorno prima, nella mia città (Sassari),  il Centro Parkinson della Clinica Neurologica dell’ospedale  civile ha festeggiato i suoi 10 anni di attività, con una serie di incontri, di conferenze e di amorevoli pacche, da parte di medici e infermieri, sulle spalle dei parkinsoniani e relativo parentado. Non è chiaro che cosa ci fosse da festeggiare, ma va bene anche così: per cui, prosit!
Ciò che lascia perplessi, in queste occasioni, è l’insistenza, da parte dell’ufficialità, sulla presunta esatta denominazione del malanno, che non è più “morbo di Parkinson”, ma “malattia di Parkison”, come se il buon  Doctor James Parkinson fosse stato direttamente vittima del malanno e non studioso  e scopritore. Nessuno, infatti, si sogna di chiamare il Colera la “malattia di Kotch”, dal nome dello scopritore; mentre la diarrea, al contrario, si adegua benissimo alla definizione di  “malanno di Umberto”, dopo il diluvio Monti. Nel nostro caso, inoltre,  il termine “morbo” ha un puro valore storico, perché fu proprio così che, a suo tempo, fu denominato un vero malanno degenerativo del sistema nervoso, attribuendo la denominazione allo scopritore e non all’ammalato.
Ma chi era questo benemerito studioso che scoprì il morbo che causa la degenerazione del sistema nervoso di parecchi ammalati affidati alle sue cure (compreso il sottoscritto)? Per saperlo, occorre ritornare indietro  nel tempo, e più precisamente ai bei tempi delle rivoluzioni settecentesche, in particolare a quelli più vicini alla Rivoluzione Francese.
Com’è noto, la seconda metà del ‘700 fu il periodo storico più incasinato della Storia mondiale, tanto che nessuno Stato, dall’America all’Asia, ne fu completamente immune. Per dirne una: nel decennio che contrassegnò la rivoluzione parigina, persino la Sardegna sentì il bisogno di mandare a quel paese i baroni e i marchesi che dominavano l’Isola da almeno quattro secoli. Così accadde che ad Oristano, nel 1794, ci fu una violentissima rivolta antifeudale che fu guidata da una famiglia di commercianti. E sapete come si chiamavano quei baldi giovanotti rivoluzionari: i fratelli Enna (o Ennas), proprio così! Erano i miei  antenati “parigini”, i quali fecero un gran casino e riuscirono persino a scampare, almeno per un po’, alla feroce reazione baronale. Ma di queste vicende parleremo la prossima puntata, dove spiegherò perché l’ombelico dei neonati, in Sardegna, si chiama “Sa enna ‘e s’anima”: la porta dell’anima! Da quella porta/ombelico (enna, janna, janua, janas, Giano, gins) si entra e si esce con un passaporto speciale... Amen!
Ma ritorniamo al nostro James Parkinson e alle sue vicende storico-scientifiche.

James Parkinson nacque a Londra nel 1755. Era figlio di un chirurgo molto apprezzato nella London bene, che intuì  subitolo le buone potenzialità del giovane James e lo indirizzò allo studio della medicina. Ma al nostro James, più che lo studio, interessava maggiormente l’analisi di una società che sentiva gli echi di un modello di vita, proveniente dal continente europeo,che sempre di più si allontanava da quello aristocratico e curiale di origini ancora medievali, per puntare su una nuova società dominata dalle capacità organizzative e produttive di quella che veniva già chiamata la “società borghese”. Così James continuò gli studi fino al conseguimento della laurea in medicina all’Hospital Medial College di Londra, senza però trascurare l’attività politica “sovversiva” dei suoi amici rivoluzionari, il cui obiettivo finale era quello di far fuori  l’allora re d’Inghilterra Giorgio III. Per sfortuna dei rivoluzionari, il tentativo di golpe fallì miseramente,  e i giovani golpisti finirono tutti in prigione, compreso il giovane James, che però fu assolto durante  il processo, perché dimostrò di essere estraneo al tentativo di assassinio del re. Così poté  riprendere l’attività di chirurgo, che lo allontanò sempre di più dall’attività politica per abbracciare completamente quella di medico ricercatore.
Nel 1817, James Parkinson pubblicò il suo primo lavoro su quella che lui chiamò “paralisi agitante”, che interessava sei casi di suoi pazienti, che soffrivano di tremore, acinesia e rigidità non controllabili. Ma soltanto una quarantina d’anni più tardi, quado James era ormai già defunto dal1824, lo studioso francese Jean Marie Charcot descrisse in un trattato questa particolare condizione clinica, che chiamò "Morbo di Parkinson". E se un grande  esperto come Charcot, appena 160 anni fa chiamò “morbo” quello strano malanno, perché oggi laosi vuole presentare come una banale “malattia”?

“Come fu” che io  conosca tutte queste cose sul morbo di Parkinson? Perché ho studiato, ho letto dei trattati grossi come mattoni... ma soprattutto ho copiato da Internet.
Perciò chiudo questa puntata, citando una curiosa notizia che ho letto sul sito www.parkinson.it, secondo cui...

Ballare il tango per un anno migliora la funzione motoria nel Parkinson
PDF
Stampa

Martedì 11 Ottobre 2011

tango.jpgI risultati di uno studio controllato

Nell'ambito di uno studio controllato che ha confrontato 31 pazienti parkinsoniani che hanno 
 partecipato ad un programma di ballo argentino (il tango) due volte alla settimana con altri 31 
pazienti che non lo hanno seguito, dopo un anno i pazienti ballerini hanno presentato un 
miglioramento del 28,7% (12,8 punti) del punteggio motorio sulla scala UPDRS, nonchè 
miglioramenti significativi in un test di equilibrio (MiniBESTtest), del freezing (questionario 
FOG) e del cammino (test del cammino per 6 minuti).

Fonte: Duncan & Earhart Neurorehabil Neural Repair online 29 settembre 2011

                             Da Parkinson.it

Bella cosa, non vi pare ? Peccato che io, a mala pena, sappia ballare solo il valzer e
“Su ballu tundu”!

sabato 29 ottobre 2011

MONSU' PARKINSON DEL LIBRO CUORE

MONSU’ PARKINSON DEL LIBRO CUORE

Diciamoci la verità. Il vero problema del mondo di oggi è sempre la Comunicazione. Che però non è mai stato un problema esistenziale, del tipo: “Essere o non essere…Chi siamo, dove andiamo, cosa facciamo, chi paga la cena”…, eccetera. E non è nemmeno una questione di rapporti umani, ma è principalmente un problema di tempo e di tecnologia. Una volta, per esempio, quando non c’erano ancora i telefonini, la posta elettronica e così via, ci si scriveva le lettere, perché la gente aveva un mucchio di tempo da perdere. Se le scrivevano gli innamorati, gli emigrati, i  parenti lontani. Nell’Ottocento,  le scrivevano addirittura i padri ai figli.
Prendiamo il caso del “Libro Cuore”,  quello di Edmondo de Amici, che tutti conosciamo e che ha fatto lacrimare generazioni di scrivani. In questo libro c’è un padre che, per comunicare con il figlio (il quale, si badi bene,  abita a casa sua, mangia alla sua tavola con lui e ogni mattina gli dà persino il bacetto affettuoso  prima d’andare a scuola) : ebbene,  tutte le sante sere questo brav’uomo  sente la necessità di scrivere una lettera al figlio Enrico. Perché lo fa? Forse Enrico ha qualche problema psicologico? E’ balbuziente? Oppure è addirittura sordomuto? Noi non lo sapremo mai. Forse, però,  era  semplicemente quello il suo modo naturale di comunicare, perché, magari,il sordomuto era proprio il padre, chi lo sa?
Ma quel che ci interessa principalmente, in questa sede, è il “tremulo braccio” del papà di Enrico, descritto dall’iconografia ufficiale, che si attarda a definirlo “emotivo” o, peggio ancora, “istintivo e passionale”, ma che a noi appare piuttosto “parkinsoniano”, Lui non lo sapeva, perché il suo creatore forse non ne conosceva neppure l’esistenza. Così un banale tremolio faticatorio  diventava un fattore emotivo in più per avvallare il romanticismo genitoriale del nostro papà scrivano, Monsù Bottini.   
Ma con sua moglie, nel normale rapporto di coppia,  come si comportava, il padre di  Enrico? Ogni volta che doveva comunicare con lei, le scriveva un romanzo d’appendice?…  “Cara Mariarosa Verdirame Princivalle”…  Questo, naturalmente, nelle occasioni ufficiali. Ma nelle situazioni, diciamo così, più intime - la sera a letto, mentre lei s’infilava dentro le lenzuola con la camicia da notte a scafandro, ma senza bigodini , con due bottoncini sbottonati  in maniera civettuola e le caviglie completamente nude - lui che faceva? Si sedeva sul bordo del letto, si chinava sul comodino, prendeva carta e penna e, col suo braccino tremolante, incominciava a scrive: “Cara moglie”. .. Oh! Sua moglie era proprio lì, a due centimetri da lui, bastava allungare una mano, scuoterla un po’, e quella era pronta al sacrificio… Macché! Niente da fare…
“Cara moglie, domani  a pranzo, per il mio genetliaco, anziché la solita minestrina di verdura,  che pure fa tanto bene al mio apparato digerente, avrei tanta voglia di un bel piatto di pennette al sugo.  Ma non di quelle lisce, mia diletta,  bensì quelle  rigate, che mi fan tremar la mano mentre le colgo con la forchetta... proprio come quelle pennette che comprammo insieme, tanto tempo fa,  ricordi?, in quel negozietto all’angolo tra la Via Risorgimento e il viale Savoia… Sai, quell’ometto umile, meschino,  che zoppicava da una gamba  perché gli mancava un piede che gli fu amputato a Custoza, ed era anche  privo del braccino destro che perdette a Solferino… Quel caro, eroico mancino venditore di pennette!”
Oggi, per fortuna,  non è più così. La tecnologia moderna ha enormemente semplificato la comunicazione. I fidanzatini di oggi non sanno più nemmeno cosa sia, non  dico la penna stilografica, ma neppure la biro.  Beh, sì,  la biro la conoscono,  ma  solo perché, quando gli fa male il pollice, la usano per digitare i messaggini  SMS con il cellulare.  E qui, bisogna proprio dirlo,  la comunicazione è stata giustamente ormai ridotta all’osso, per ragioni di tempo,  di spazio e anche di costi.  Al punto che, per interpretare i messaggi dei giovani d’oggi, occorre un criptografo… 
Intanto, hanno eliminato tutte le vocali,  e questo è già un grosso passo avanti, perché in fondo che te ne fai delle vocali? A E I O U… Ormai sono diventate delle espressioni da borgatari:  “AO’, andò VAI?” – “UEH! Gennarie’!”… Inoltre, al posto di certi prefissi, ora si mettono i segni matematici e algebrici, che è poi una soluzione geniale, Faccio un esempio.  Lei digita sul “C - R –C- C”, che vuol dire “CaRo –CiCCi”… Si chiamano Cicci per semplificare, perché se lui si chiama Pierferdinando, diventa tutto un casino. Ma andiamo avanti col messaggino… C’è scritto  “X – K –NN – M- “,  che signfica “PerKè- NoN – Mi ”… Poi viene una “V”, insieme  a una “M”  E qui siamo proprio al rebus delle parole crociate…  In questo caso, infatti, occorre sapere che, nel gergo quotidiano della New Generation,   la “V” sta anche per Vela; e fare Vela vuol dire ancora: “Non andare a scuola”, proprio come ai tempi nostri. In questo caso, però, significa proprio “Vela” e basta….  E dove stanno le vele? Nelle barche. E le barche dove stanno a quest’ora? Nei porti… Dunque, se aggiungiamo la “M”, che vuol dire Mai, abbiamo una prima spiegazione del rebus:… “Perché - non – mi-  porti- mai” … Dove? Andiamo avanti: Ora c’è un segno +, quello dell’addizione,  che potrebbe voler dire tante cose, ma qui è accompagnata  da una “I” che rappresenta, sempre nel loro gergo privato, il simbolo di una candela. A questo punto è facilissimo, no?! Ricapitoliamo pazientemente… Il simbolo + potrebbe essere una Croce… mentre la candela è… di Cera… Dunque: Croce più Cera = Crociera: Da tutto questo, ecco la traduzione completa del messaggio “Perché- Non – Mi - Porti. Mai - In – Crociera?” Firmato:“TM”: “Ti – Amo”.

La cosa più interessante di questo genere di comunicazione telegrafica è che non l’hanno inventata i ragazzi moderni. Nossignori! Esisteva già all’età della pietra, pensate un po’. Mille e mille anni fa, infatti, gli uomini primitivi non conoscevano nemmeno loro le vocali,  e questo si capisce, perché erano davvero dei trogloditi… Comunque, sono state trovate numerosissime rocce piatte, gigantesche, su cui i primitivi scrivevano i loro messaggi. Gli archeologi le chiamano “Stele”: da qui la scoperta del “Linguaggio Stelegrafico”.  Che cosa volevano raccontare i nostri antenati? Per anni e anni e anni non ci ha capito niente nessuno. Fino a quando è stata trovata la “Stele di Umberto”, a Ponte di Legno.  E’ una roccia gigantesca, piatta, ben piantata davanti a una caverna. Sulla stele c’è scritta: “VD – CC – LL - SRGT - DP -  BTT - L - PS T” e poi la firma : MBRT. Dopo anni e anni e anni di studi, gli archeologi della Facoltà di Trento hanno finalmente interpretato la scritta, che secondo loro vuol dire: “VADO – A – CACCIA - ALLA - SORGENTE – DEL - PO – BUTTA – LA – PASTA – TUO - UMBERTO”…  Ma perché ci hanno messo tanto tempo a trovare la traduzione? Perché nel messaggio mancava l’intestazione. Non c’era scritto, che so: “Cara Margherita”, come si fa normalmente con le moglie. Ma poi si è capito che era una forma di immediatezza comunicativa, presumibilmente rallentata da un palese tremolio al braccino destro, dovuto alla tarda  età… C’era da capirlo, il povero Umberto: lui non scriveva con il telefonino o con la biro o con la penna d’oca. Lui aveva una specie di punteruolo fatto di ossidiana, su cui picchiava duro con un  masso di granito, e solo per scrivere la C di Cara ci volevano almeno tre quarti d’ora… E allora, che fai per rispettare l’etichetta? Fai scappare il bisonte?!

Sempre restando nell’ambito del rapporto di coppia, mi sembra utile raccontarvi brevemente l’aneddoto di quei due coniugi veneziani del 2000 avanti Cristo. Erano dei benestanti, avevano un attico in grotta dalle parti di San Marco, e volevano andare in vacanza in Sardegna. <<Ti me l’ha promesso tante volto: te porto in Sardegna, te porto in Sardegna. E alora andemo, ciò>>.  Così, e dai e andemo, partono da Venezia e si fanno tutto il viaggio attorno alla penisola, perché la Sardegna è proprio dall’altra parte… Arrivano dalle parti della Sicilia  e lui, furbetto: <<Varda, Marietta: un’isola! Semo già arrivai in Sardegna>>. Ma lei, che conosceva il linguaggio stelegrafico, vede la scritta  “SCLL – CRDD” sulla punta di Messina e fa:. <<Ma va là, tonto! Leggi lì: c’è scritto “SCILLA e CARIDDI”! Ma ti non leggi mai l’Odissea?>>… Comunque, vanno avanti e dopo dodici anni arrivano sulla punta meridionale della Sardegna, al capo di Pula. <<Tesoro, questa volta xè vero, semo proprio arrivai. Varda lì, c’è la Stele de Nora>>… Nora era una città punica, dove è stata veramente trovata una stele con la scritta SRDN. ..<<Metti a posto tutte le vocali e hai la Sardegna, ostrega!>>. Ma lei non sembrava ancora convinta. <<Non me sembra proprio ela… Nei depliants  de granito che me l’ha ga mandà mia cognata xera più bela, ciò>>. E lui: <<Ma varda qui, nela pietra geografica, ostrega! Qui, dove semo ora, xè la città de Nora… La xè il Capo Teulada: lo cognoscio ben perché ci ho fatto il militare… E  varda qui: xè scritto  KRLS, che vuol dire Karalis, e cioè Cagliari>>. E lei, irritata: <<Karalis? Ma allora ti me g’hai portà in Africa!>>…
Apro qui una piccola parentis politico geografica. Voi dovete sapere che noi sassaresi - che viviamo nel Nord Sardegna- non siamo razzisti… Però dividiamo ugualmente la nostra isola in tre grandi regioni. Da Oristano in giù è Africa; al Centro, fra Barbagia e Macomer, c’è la Terronia; mentre da Alghero in su xè Alto Adige… Chiusa la parentis… <<Ma io volevo andare in Costa, mentecato!>>. <<Ma semo sula costa, benedetta! Varda là: ghe son le scogliere, xè il mare… >> . <<Ma non ‘sta costa! Io volevo dire la Costa Smeralda!>>. <<Oh, bela! Ti xe proprio matta tutta! Noi non podemo andare in Costa… Xè già tutto occupato… Varda qui, sula pietra, la mappa. Ecco: qui xè la villa de Silvio: sono  quattrocento kilometri  quadrati de muro e de filo spinato, per ragioni di sicurezza. Poi c’è la casetta de Paolo: altri duecento kilometri di Auto Estrada tutt’in giro. Più su xè la villa de Marina, poi quela di Piersilvio,  quela della prima moglie… Il convento con vista mare per  le zie suore… E lassù xè Capo Taormina>> . <<Taormina? Ma non gh’era in Sicilia? >> <<Quelo dopo>> <<Dopo cosa?>>. <<Dopo Cristo, benedetta! Noi  ora, co sti padroni del vapore che ce cantano la serenata, xemo  ancora avanti Cristo, troglodita!…>>. 

martedì 11 ottobre 2011

Mr. PARKIN-SON-IO E IL BLOG SPIONE

11 ottobre 2011
Mr PARKIN-SON-IO e  Il BLOG SPIONE
Cari amici, sono molto preoccupato. Ma sia chiaro che qui lo dico e qui lo nego. Anzi, In realtà non me ne frega niente... Non so bene, ad esempio, se la cosiddetta “Legge Bavaglio”, una volta approvata da Mediaset e da Bossi, provvederà a “registrare” anche il mio Blog, impedendomi per legge di intercettare le telefonate dei miei 32 lettori (o sono 33? nel dubbio, spengo il mio cellulare), soprattutto di qualche vecchio gnocco che concupisce la moglie del vicino di sito. Perciò io dichiaro solennemente che non userò questo Blog per ascoltare le lussuriose conversazioni di Palazzo Chigi con qualche mia lettrice bipartisan, per  il semplice motivo che non so come katz si fa. E se lo faccio giuro che non lo rivelerò a nessuno. Ovviamente dopo che quel pirata informatico di mio figlio Mauro mi avrà insegnato a colloquiare tramite Skype anche con la mia nipote americana Grazia Huges, che a me, dall’analisi di alcuni documenti di famiglia, regolarmente sottratti all’Anagrafe e ad una telefonata anonima di sua sorella Stefania,  risulta che si chiama Enna come me; ma suo marito Ralph potrebbe aver opposto il segreto di stato della Casa Bianca, che negli ultimi tempi appare un po’ troppo “abbronzata” e non è nemmeno texana. Insomma, un casino che non vi dico! Ma sarà davvero così importante? Nel dubbio mi pento e chiedo scusa a prescindere...  
Tuttavia dentro di me rimane una domanda: anzi due o tre, che qui le dico e qui le nego. Domande che io oserò porre a chi di dovere, con l’avvertenza che ciò che sto per chiedere non l’ho chiesto io, ma potrebbe essere stata proposto a mia insaputa dalle mie nuore, Sabrina e Claudia , entrambe in felice attesa ormai imminente (uno maschio e l’altra femmina: figuratevi se mi preoccupo dei tremori di Tremonti), nonché nostre vicine di casa, che hanno il computer  sintonizzato col mio router supertecnologico. La domanda è: ma questo mio Blog è un “sito amatoriale”, nel senso di esente dalla galera per il sottoscritto e per le  mie nuore vicine di casa,  oppure una “testata on line registrata” con sole 48 ore di tempo per chiedere scusa prima di sbattermi in galera, come un comune giornalista spione? Nel dubbio, io rettifico e chiedo scusa alla Telecom in sole 24 ore, ma anche in Repubblica e  Nuova Sardegna.

A questo punto però, penso che sia opportuno passare oltre i meandri oscuri e sempre più barbari, nonché idioti, della nostra politica e parlare d’altro. Per esempio di Medicina, quella con la “M” maiuscola, che non si pone problemi di “privaci” e di leggi contro le intercettazioni . Sono  in grado di farlo perché posso ora vantarmi di aver avuto recentemente il privilegio di conoscere e di usufruire personalmente, insieme a Iole,  delle particolarissime doti di  un paio di superchirurghi “autoctoni” - nel senso che sono  entrambi operativi sul nostro territorio (a Sassari e Alghero) -  i quali, nel giro di poche settimane, ci hanno rimesso in sesto da alcuni grossi guai fisici dovuti all’età non più giovane, consentendoci così di affrontare il nuovo decennio con una certa tranquillità. Almeno è quanto ci auguriamo.
Il mio chirurgo salvatore si occupa di pròstate e di papillomi, che lui conosce ormai a memoria da tempo piuttosto lontano: per la precisione dal 1982, quando partecipò per la prima volta, da giovanissimo osservatore specializzando, alla mia prima operazione (mia nel senso che stavano operando proprio me); infatti, è stato lui stesso a scoprire il suo nome nella relazione ufficiale di quel mio lontano intervento, che in quasi trent’anni avevo creduto di poter dimenticare, ma mi sbagliavo. Fortuna ha voluto che lo specializzando in questione sia diventato primario di Urologia ad Alghero, la bellissima città catalana (chiamata anche “Barceloneta”, la piccola Barcellona), che dista a soli 30 kilometri da Sassari ed ha un mare bellissimo, ottimo fornitore di ricci e di coralli, ma soprattutto adeguatamente attrezzato per la pesca subacquea dei primari sportivi che hanno bisogno di relax assoluto, che è l’unica alternativa alle prostrazioni prostatiche e vescicali.
L’altro primario invece, che è giovanissimo, opera all’ospedale civile di Sassari e si occupa di cardiochirurgia. Nel giro di sei-sette ore ha rimesso a posto l’aorta difettosa di Iole con un’operazione chirurgica da manuale, mettendola così in condizioni di riprendere a vivere la sua esistenza quotidiana in un paio di settimane. Ovviamente, sia io che mia moglie non siamo ancora in grado di partecipare alle prossime Olimpiadi, però abbiamo raggiunto la certezza di poterle guardare con una certa tranquillità.
Perché parlo di questo? Qualcuno dirà che in fondo entrambi i primari hanno fatto bene il loro lavoro, e questo da solo sarebbe un buon motivo per parlarne; l’altra ragione è che, secondo quanto si borbotta in giro, entrambi i chirurghi   (ma soprattutto il più giovane) sarebbero oggetto di attenzioni e di lusinghe da parte di altre cliniche molto meno “provinciali” e più famose delle nostre, affinché vi si trasferiscano al più presto possibile. La cosa in sé non sarebbe del tutto “scorretta”: è normale che anche i medici superdotati subiscano il fascino della “nobiltà” ospedaliera, e prima o poi appare ancora più normale che almeno il  giovane cardiochirurgo alzi le vele per andare altrove (l’altro “sinn’affutti”, se ne frega,  perché è un tipo tosto e ha già capito da un sacco di tempo che ciò che vuole dalla vita ce l’ha già, ad Alghero, e lo dice senza peli sulla lingua). Ma è altrettanto normale che noi pazienti “provinciali” intrecciamo le dita, augurandoci che tutto ciò accada il più tardi possibile. E non per semplice egoismo, ma perché ci risulta che entrambi i primari  stanno addestrando a dovere e con vera attenzione gruppi di giovani medici, i quali hanno avuto l’umiltà di capire che anche il talento può essere trasmesso, ma non di corsa. Ed è gradevole vederli attorniare con discrezione il Maestro, e anche con grande attenzione. Quando anche loro saranno pronti, addio e amici come prima.
A proposito, non ho ancora detto i nomi dei due superchirurghi. Il primario urologo sportivo si chiama Angelo Tedde, mentre il giovanissimo cardiochirurgo si chiama Michele Portoghese... Ma, per piacere, almeno per ora non ditelo a quelli dell’ospedale “Brotzu”di Cagliari e dintorni!

sabato 24 settembre 2011

Mr PARKINSON E LA POMPA D'INFUSIONE

24 settembre 2011

MISTER PARKINSON E LA POMPA D’INFUSIONE

Lo so, lo so: sono in anticipo di un paio di mesi rispetto all’ultima puntata, quella  dei parkinsoniani giapponesi (ma forse anche i nostri, a parte il sottoscritto) che – secondo il Corriere della Sera - non solo non sanno dire bugie, ma lavorano come stakanovisti, non fumano, né bevono e soprattutto si portano il lavoro a letto: a volte anche otto o dieci unità lavorative, proprio come i nostri Cavalieri politici, che per giustificarsi stano forse studiando come disfarsi della dopamina per associarsi alla congrega dei parkinsoniani...

Ma non era di questo che oggi volevo parlare. Questa volta è stato mio figlio Sefano the first, il primo, a segnalarmi un articolo del quotidiano sassarese “La Nuova Sardegna” di ieri, 23 sttembre, per mostrarmi in Cronaca di Nuoro un bellissimo pezzo sulla:

Rivoluzione nella terapia per il Parkinson”

Si tratta di una speciale apparecchiatura, che è stata da poco installata nell’Unità di  Neurologia dell’ospedale San Francesco di Nuoro (Asl n.3 ), la quale comprende un sistema computerizzato di infusione,che mantiene costante il rilascio di dopamina. Di fatto esiste una sorta di pompa che viene inserita con un intervento sottocutaneo, che consente al “principio attivo” di  raggiungere il duodeno, che sarebbe poi quella parte dell’intestino capace di assorbirlo. So che non rivelo una grande novità, visto che molte altre Asl italiane ne usufruiscono da tempo (compreso l’ospedale Brozzu di Cagliari), ma io non lo sapevo: perciò mi permetto di divulgare la notizia a quante più persone interessate possibili. 

Per essere chiari – informa la giornalista Simonetta Selloni, nel giornale in questione – la procedura non rallenta né guarisce i malati di Patkinson; ma a coloro che si trovano nello stadio più impegnativo della patologia, la cui qualità della vita è fortemente alterata dalle continue oscillazioni  alle quali anche l’assunzione non continuativa del farmaco li sottopone, si tratta di un importante passo avanti”. Secondo la direttrice dell’Unità stessa, la dottoressa Anna Ticca, Il mantenimento dei livelli di dopamina stabilizza i movimenti degli ammalati più gravi. Inoltre, precisa ancora la giornalista, a scanso di eccessivo entusiasmo in proposito: “E’ bene specificare che non tutti i pazienti possono accedervi, ma solo a quelli per i quali la paurosa altalena tra la stasi e l’eccesso di movimento rende problematica la vita”. Grazie Simonetta. Anche se nessuno di noi si augura di raggiungere  mai lo stadio di “altalena tra stasi e movimento”, ci consola sapere che anche in un eventuale “condizione estrema”, potremmo ancora contare sull’aiuto della tecnologia e della scienza.

L’unica nota stonata dell’articolo di cui sopra (ma purtroppo necessaria) è l’accenno ai costi del trattamento suddetto, che raggiungerebbero somme sui 20mila euro per ogni intervento,  ovviamente a carico del servizio sanitario. Considerando i tempi di migragna di quasi tutti i settori dello Stato “non produttivi di grana”, dalla Scuola alla Sanità, è facile immaginare che i nostri politici implementeranno tali apparecchiature salvaparkinson... col  cavolo, appunto! Magari col dito medio in su. A meno che non si dimostri che quelli dei leghisti padani e dei cavalieri smeraldini non siano Alzehimer, ma tanti tremolissimi Parkinson  

mercoledì 21 settembre 2011

22 settembre 2011

Mr PARKINSON = Mr. VERITA’

Mi è arrivata una mail di mio figlio Bruno intitolata: “Lo sai che non sei un ballista?”.
In allegato c’era un articolo dei Corriere della Sera on line del 21 settembre 2011, di Cesare Peccarisi, intitolato:

Chi soffre di Parkinson non sa mentire

Secondo i ricercatori giapponesi, coloro che ne sono affetti sarebbero lavoratori seri e inflessibili



- Uno studio dell’università giapponese di Tohoku pubblicato su BRAIN ha fornito la prima prova neurobiologica del fatto che chi è affetto da morbo di Parkinson è incapace di mentire confermando le osservazioni psicologiche raccolte nell’ultimo secolo secondo cui questa malattia si associa a una personalità da gran lavoratore, serio, inflessibile e di elevata rettitudine morale.
Nei primi del ‘900 il neurologo americano Carl Camp li descrive come stakanovisti che si portano il lavoro a letto, rigidi e privi di vizi, che non conoscono né alcol, né caffè, né fumo.

Non cito quest’articolo  per vantarmi, ma avevo anch’io il sospetto che la mia personalità avesse subito un notevole cambiamento, all’incirca un anno fa,  quando il mio neurologo mi confidò ne suo studio: <<Caro Signor Enna, ho il piacere d’informarla che Lei è diventato uno stakanovista giapponese, di elevata rettitudine morale: nel senso che, avendo assunto il morbo di Parkinson, ha di fatto assunto anche il ruolo di lavoratore integerrimo e infaticabile, di quelli, cioè, che si portano il lavoro a letto, bevono acqua gasata e non fumano.. Gradisce un caffè?>>. <<Sì, grazie, con poco zucchero>>. <<Sbagliato! I giapponesi parkinsoniani non bevono caffè! E soprattutto non dicono bugie>>. Aveva capito che a me il caffè piace con molto zucchero! Così sono passato al decaffeinato, ma solo quando vado da lui.
Devo anche confessare che l’idea di portarmi il computer a letto un po’ mi spaventa, soprattutto perché ho un vecchio schermo che pesa mezzo quintale e Iole non lo sopporterebbe tra i due guanciali. Soprattutto ora che ha appena subito una pesante operazione all’aorta (ma di questo parleremo un’altra volta).

Il FUMO - Molti studi hanno confermato(...) un’associazione negativa fra fumo e malattia: da essi è scaturita la leggenda metropolitana che il fumo previene la malattia di Parkinson, mentre si tratta di una caratteristica della personalità premorbosa di questi pazienti. Come non è vero che il fumo previene il parkinson, ma solo che chi fuma ha una personalità che tendenzialmente non si associa alla malattia, questo non significa che questo tipo di personalità predisponga al parkinson.
In effetti anch’io smisi di fumare circa trent’anni fa, ma siccome nessuno mi aveva parlato di leggende metropolitane che favorivano il Parkinson, mi trovai benissimo... Fino a quando, dopo circa un trentennio di caramelle alla menta e di un buon respiro, ecco arrivare il Mister: melenso, profumato di visco e senza nemmeno un vizietto da presentare nella buona società. E il guaio è che anche a fumare la pipa, ormai non ci guadagni più niente, se non “una personalità che tendenzialmente non si associa alla malattia”, e cioè bugiarda, viziosa e dormigliona a letto.


I POSITRONI: Usando una particolare PET (tomografia a emissione di positroni F-18) i ricercatori hanno scoperto che la malattia priva la corteccia cerebrale prefrontale di questi pazienti delle funzioni esecutive in cui risiederebbero i meccanismi che consentono di dire bugie. La loro estrema onestà deriverebbe dal ridotto metabolismo...


Ora il discorso si fa sempre più credibile, soprattutto in relazione al metabolismo ridotto di noi parkinsoniani, tanto da apparire particolarmente utile  anche in ambito amministrativo e politico, da assumere come esempio. E’ chiaro infatti che è proprio l’utilizzo di positroni F-18, opportunamente inseriti nelle schede elettorali, che consente ai parkinsoniani giapponesi (adeguatamente privati della corteccia cerebrale prefrontale, il che li renderebbe così tanto anemici) di poter contare in una classe politica “seria, inflessibile e di una elevata rettitudine morale”. Mentre da noi, com’è ormai noto, proprio in assenza di positroni adeguati, da inserire nel curriculum politico della cosiddetta classe dirigente,  prevale un modello neutronico di vita sociale e politica “a tempo perso”, consentendo  in tal modo un modello di sopravvivenza politica piena di balle e di belle gnocche.

martedì 13 settembre 2011

DI Mr. PARKINSON E D'ALTRO ANCORA

13 settembre 2011

DI Mr. PARKINSON E D’ALTRO ANCORA.

Mettiamola così: dopo due mesi e passa di ricoveri, ecografie, tack, interventi, farmaci ed altro ancora, sia io che Iole abbiamo quasi accantonato il buon (si fa per dire) Mister Parkinson quale male minore, consentendo per altro al mio  braccio destro di concentrare sul muscolo il fastidio peggiore, che ha di molto limitato la voglia di riprendere in mano il mio Blog per tutto questo tempo.
D’accordo, è solo una scusa come un’altra. Tanto più che ho ben capito che non chiosare del Mister di tanto in tanto significa sottovalutarne il peso determinante nel processo evolutivo della tarda età. Va a finire, insomma, che più lo ignori e più lui ti rende la vita quasi impossibile, perché per uno come me, abituato ormai da decenni a considerare il computer come mezzo professionale indispensabile a dare un po’ più di senso alla vita, questo braccio che si stracca come una baldracca (non male la rima, vero?) incomincia a preoccuparmi parecchio. Perché se non scrivo, poi cosa faccio? Leggo?! Beh, forse questa è davvero la volta buona.
Per esempio. Ricordate il “bugiardino” della 3^ o 4^ puntata di questo blog, quando dovetti leggere le controindicazioni del mio Ropinirolo, per le quali avrei dovuto verificare se il mio medico sapesse di se stesso: “ ° se è in gravidanza o pensa di esserlo; - ° se sta allattando al seno”, etc. etc. Beh, qui la situazione, sintatticamente e semanticamente, è ancora peggiore. Vi basti sapere che, a causa di un operazione alla vescica, ho dovuto prendere per qualche settimana un antibiotico decisamente micidiale: almeno a leggere il relativo foglietto illustrativo,di due sole facciate, che contengono non meno di 150/200 controindicazioni, che incominciano in modo perentorio così: Se deve prendere il PrulifluxNon prenda il Pruliflux (nome fittizio).  E questo è solo il primo segnale. Poi incomincia ad enumerare i i circa 200 malanni che m’impedirebbero categoricamente (e completamente a mio carico) di assumere l’antibiotico se... : *se è allergico al Pruliflux; *se ha meno di diciotto anni; *se è in stato di gravidanza o sta allattando al seno”... O katz! Ma è una vera persecuzione! E sta bene, lo ammetto: ne ho allattato quattro! Ma solo con il biberon.  
L’elenco successivo contiene un’infinita serie di danni materiali e morali, tutti a mio carico, che vanno dalle “gravi reazioni cutanee” alle “infiammazioni dei  tendini”, con conseguenze dannose al “tendine di Achille che può portare fino alla sua rottura”, proprio come accadde ai tempi di Troia e di qualche suo figlio; e poi ancora: “Severe reazioni solari con scottature” anche se non prendessi le pillole in spiaggia; “Diarrea,vomito, disturbi del sonno, riduzione dell’udito”... <<Scusi, ha preso le pastiglie oggi? –  Come dice, scusi? -  Ah sì! Le ha prese, bravo!>>  Insomma, ho buttato via il Pruliflux e ho preso la Tachipirina.
Per le ragioni di cui sopra, non vedo più da due mesi il mio neurologo e non  ho più controllato il mio  Blog. Così oggi l’ho riaperto, sia pure con qualche difficoltà, perché avevo dimenticato la password, ed ho scoperto che è pieno di pubblicità sulle staminali, che io non ho richiesto, ma mi fa piacere che ci siano, perché significa che anche Google mi legge.
Per oggi ho già scritto molto. Prometto però che sarò più operativo nel prossimo futuro: Mister Parkinson permettendo (al mio braccio).  
Colgo l’occasione per abbracciare, insieme a Iole, i nipoti texani: Grazia e Ralph, con i due splendidi figli che hanno illuminato la nostra estate. Un pizzicotto anche  alla nipote “friulana” Stefania, che deve ancora decidere cosa fare del suo futuro.

giovedì 7 luglio 2011

MISTER PARKINSON. IL RITORNO

7 Luglio 2011

MISTER PARKINSON – IL RITORNO

Siamo ritornati, io e il Mister. Chiediamo scusa, ma eravamo “altrove” entrambi. Io a meditare sul fatto che nella vita di un giovanotto 72enne di belle speranze non può esistere soltanto un futuro condizionato da un morbo mutacico e rompic...; mentre lui, Mister Parkinson, cercava di spremersi le meningi (ammesso che le abbia mai avute) sul tema delle cellule staminali, da me tirate in ballo ad arte, nell’ultima puntata, citando un comunicato del Memorial Sloan-Kettering Cancer Center di New York e pubblicato su Pnas, in cui si parla di tali cellule ottenute da embrioni umani trasformate in neuroni specializzati nella produzione della dopamina, e cioè della sostanza base che toglierebbe a tutti noi i Mr Parkinson di torno.
Devo dire in proposito che ho ricevuto parecchie richieste di delucidazioni, che purtroppo non sono stato in grado di dare in maniera concreta, perché la mia rimane sempre una cultura umanistica e non troppo scientifica; il che non significa che non capisca niente di staminali, ma diciamo che ne mastico molto poco. Il fatto è che io scrivo storie per bambini e ragazzi: racconti, fiabe e favole. “A donzunu s’arte sua”: a ognuno la sua arte, dice un antico proverbio sardo. Io racconto storie alla Esopo, di cui utilizzo spesso il caustico livello narrativo e la delicatezza della metafora, per creare delle vere e proprie “Esopediche - Favole esopiche in funzione di dedica”, come questa. Dedicata a chi? A mia moglie Iole, naturalmente, che sta attraversando un difficile periodo della sua vita..

 

ESOPEDICA (per Iole)

Favole esopiche in funzione di dedica

ZEUS E LE QUALITA’ DELL’UOMO
Tanto tempo fa, quando gli esseri viventi furono creati
a ciascuno vennero donate attitudini e abilità:
a chi la forza, a chi le ali, a chi la velocità.
Soltanto l’uomo, rimasto nudo come un verme,
protestò vivacemente:
<<Perché m’hai lasciato inerme e non m’hai donato niente?>>
E Zeus, il gran dispensatore permanente, rispose:
<<Caro il mio ometto immusonito:
le qualità che tu hai ricevuto sono molto superiori
a qualunque altra concessione.
Tu possiedi la forza degli dei,
che è la saggezza e il controllo dell’azione,
mentre alla tua donna, luce degli occhi tuoi,
ho donato la bellezza e la ragione..
Sarete come la Luna con il Sole:
tu sapiente e coraggioso come Eracle
e lei dolce e sagace come  Iole.
Se saprete usare questi doni sino in fondo,
insieme dominerete il mondo>>.
(Esopo, 57)
N.B. -  L’originale di questa favola  esopica include soltanto l’uomo (Esopo era davvero un  po’ misogino). L’aggiunta della donna, e in particolare di Iole, mitica  compagna di Eracle, è una mia personale “Esopedica” alla compagna  della mia vita, che si chiama anche lei Iole, consentendomi in tal modo di identificarmi (ahem!) con Eracle, il mio eroe mitologico  preferito..

.
Riguardo a questi due lunghi mesi di assenza dal mondo dei Blog, qualcuno mi ha chiesto: “Ma nel frattempo, che cosa è successo?” M’imbarazza dirlo, ma il mio Mister Parkison – con tutti i suoi misteri “morbosi” e i suoi silenziosi tick da bambino viziato e  dispettoso -  è stato letteralmente surclassato da altri avvenimenti “sanitari” che hanno interessato il sottoscritto e soprattutto mia moglie Iole. Fatti nostri, ovviamente: malanni riferibili all’età, che non è proprio quella di Noè, ma abbastanza significativa per due persone impegnate a non far trascorrere il proprio tempo ai tavoli del Bingo.
Ora, tuttavia, la nuova situazione appare un po’ più controllabile (intrecciando le dita e... qualcos’altro) , per cui posso permettermi il lusso scaramantico di ritornare a discettare del mio ineffabile Mister Parkinson, che non ha minimamente modificato il suo atteggiamento  di semi indifferenza collaborativa, ma ha anche accettato di convivere con la quantità di Ropinirolo stabilita parecchi mesi fa dal mio neurologo e finora mai modificata. Il braccio destro si stanca un po’ più presto di prima, all’uso del computer; in compenso - forte della mia esperienza infantile di quando mi ruppi il piede destro giocando al pallone, al collegio della Brigata,e imparai prestissimo ad usare l’altro piede -, sto insegnando alla mano e al braccio sinistro ad usare il mouse. In quanto alle salite, sempre faticose e trascinabili, basta il passo del maratoneta (di cui ho parlato in una delle puntate precedenti), che consiste nello “scagliare” davanti a sé stinchi e polpacci delle due gambe,  senza trascinare i piedi e facendo leva sulle ginocchia.
Ritornando alle cellule staminali, la notizia della messa a punto della tecnica di coltivazione che permette di trasformare le staminali embrionali in neuroni specializzati per funzioni diverse, come quella di produrre la dopamina, ha messo un po’ in subbuglio le mie due nuore in attesa di due nipotini, che arriveranno entrambi a novembre. Siamo rimasti d’accordo su un punto fondamentale: a me basterà la loro presenza per rimettermi in piena salute, con o senza il mio alter ego silenzioso; mentre tutto ciò che i nostri nipotini saranno in grado di conservare in saccoccia, grazie alle cellule staminali dei loro cordoni ombelicali,da conservare in “banca dati”, apparterrà solo ed esclusivamente ad essi e al loro futuro.
A nos bidere sanos!

giovedì 12 maggio 2011

MISTER PK 15

12 maggio 2011

MISTER PK 15 -  PK come Parkinson

Come sempre, scusate il ritardo, ma anche stavolta ho avuto parecchie cose da fare. Il che non mi dispiace proprio, ma anzi mi mette in condizioni di snobbare non poco l’amico invisibile Mister Parkinson, che ormai chiamo amichevolmente PK, proprio come il Paperinik disneyano di qualche tempo fa, che un tempo a me piaceva molto, ma che oggi è un  po’ difficile ritrovare su “Topolino” & C. Anzi, forse è il caso che ne parli con Bruno e Stefano, che a suo tempo crearono molte nuove situazioni con quel Super-Papero oggi un po’ in disuso. Abbiamo tutti bisogno di un PK di fantasia che ci difenda dal mondo esterno e da noi stessi, e non solo di un silenzioso e implacabile ladrone di autonomia.  
Dunque, le cose vanno così. Da una parte c’è Lui, il Super-Silver Paperone “epocale”, che vuole ricreare e trasformare  il mondo a sua immagine (o, in via subordinata, a somiglianza) , senza possibilità di confronto se non con i suoi fans  e le ingenue vecchiette che lo adorano alla follia Dall’altra parte, ma in posizione molto bassa, quasi sotterranea, ci siamo  noi, il popolo con la “p” minuscola, che si ostina a  non consideralo un genio, ma solo un ottimo venditore di se stesso. Stiamo parlando di SuperSilvio o di SuperPK? Concidenze, solo coincidenze!!
Ma siccome è un mondo che non ci piace, parleremo d’altro anche oggi. Per esempio, di Mister Parkinson, tanto per cambiare: il nostro alter ego silenzioso, che s’insinua nelle nostre cellule e nei nostri muscoli, approfittando della fuga scriteriata dalla “substanzia nigra” (più correttamente: sostanza afro-americana) del neurotrasmettitore chiamato “dopamina”.
Ne parliamo anche oggi, perché, navigando su Inernet, ho colto al volo questa notizia sull’ultimo sito della prima pagina di Internet aperta su Google alla voce “Dopamina”:

Ultime Notizie su dopamina
Vi si parla dello studioso italiano Tiziano Barberi e dei suoi studi a New York sugli embrioni umani trasformati in neuroni che producono la dopamina. Io riporto solo l’introduzione, che è piena non solo di speranze, ma anche di certezze. Ecco la prima parte del  testo, che sembra essere scritto apposta per  sbugiardare tutti gli studiosi “pindacci” (porta sfiga , insomma) che vedono sempre tutto nero. Mentre a tutti noi occorrerebbe sempre almeno un pizzico di luminosità. Ed ecco che cosa racconta il nostro “Molecularlab”:

CELLULE STAMINALI EMBRIONALI SONO STATE GUIDATE ALLA MATURAZIONE IN NEURONI SPECIALIZZATI ALLA PRODUZIONE DELLE DOPAMINA.
ShareAllo studio del Memorial Sloan-Kettering Cancer Center di New York e pubblicato su Pnas, che ha visto cellule staminali ottenute da embrioni umani trasformate in neuroni specializzati nella produzione della dopamina, ha partecipato anche un italiano, Tiziano Barberi. L'esperimento che riaccende le speranze per i malati di Parkinson e' stato realizzato negli Usa.
"Abbiamo messo a punto un metodo di coltura delle cellule staminali embrionali per ottenere tutti i tipi di neuroni", ha detto Barberi, del Memorial Sloan-Kettering Cancer Center di New York, che fa parte degli autori dello studio, coordinato da Lorenz Studer.
A Barberi si deve la messa a punto della tecnica di coltivazione che permette di trasformare le staminali embrionali in neuroni specializzati per funzioni diverse, come quelli che controllano i movimenti e quelli che producono la dopamina. Finora era stato possibile ottenere dalle staminali soltanto dei precursori dei neuroni, ossia cellule nervose ma non ancora specializzate in una particolare funzione.
Secondo Barberi e' ormai chiaro che "dalle cellule staminali embrionali umane si possono ottenere cellule specializzate per usi clinici futuri".

Il seguito leggetelo da soli. Perché, tutto sommato, crediamo davvero di essere tutti soli, e che ciascuno di noi debba sempre vedersela con se stesso e con il proprio segreto inconscio, che muto come uno scorfano attende solo che il peggio si manifesti... Stronzate! Nessuno è mai solo. Io non lo sono. Ho moglie, figli, amici, parenti, che non sanno un fico di Mister PK, ma lo tengono ugualmente d’occhio. Ora poi c’è anche il signor Tiziano Barberi, che legge le anomalie del  mio SuperPapero e che analizza le staminali per me. Prima o poi andremo assieme a New York. Magari passando dal Texas di Grazia e Ralph.
Un arrivederci presto a tutti!


venerdì 29 aprile 2011

MISTER PARKINSON 14 - Dopa dopa, che il gatto scappa!

29.04.11
MISTER PARKINSON 14 –  Dopa dopa, ché il gatto scappa!.

Un saluto a tutti e buon rientro dalla Pasquetta. Nei giorni scorsi, in attesa di rincontrare il mio neurologo, per conoscere a che punto siamo io e il mio omologo sordomuto Mr Parkinson, ho deciso di approfittare del clima pasquale, sempre cosi allegramente ratzingheriano, per approfondire la conoscenza della dopamina, la cui assenza nel mio cervello avrebbe prodotto tutto questo casino. Perciò ho ripreso in mano i sacri testi medici e,  contemporaneamente, ho cercato anche di approfondire il tema cliccando su Google.
Una delle prime cose che ho trovato, alla voce “Dopamina”, è stata questa canzone del cantante rapper Neffa, che mi ha lasciato perplesso:
Dopamina
La enne e la doppia effe a, 
la enne e la doppia effe a, 
la enne e la doppia effe a, 
gia' sai che dopa minimo chico fai, 
la enne e la doppia effe a, 
gia' sai che dopa minimo chico fai, 
la enne e la doppia effe a, 
gia' sai che dopa minimo chico fai, 
la enne e la doppia effe a, 
gia' sai che dopa minimo chico fai, 
la enne e la doppia effe a, 
la enne e la doppia effe a, 
gia' sai che dopa minimo chico fai, 
gia' sai che dopa minimo chico fai.

Vista così, anche graficamente, si direbbe un condominio da cui qualche inquilino svitato si è buttato giù, dopo aver bevuto della varecchina avariata. Ma se si legge con più attenzione si scopre che l’inquilino in questione, “La enne e la doppia effe a”, è lo stesso cantante (N e ff a) che vorrebbe buttarsi dal quattordicesimo piano dopo una dose di “dopa” al minimo che l’avrebbe fatto ritornare “chico”, e cioè bambino. Ci sarebbe il tanto da chiedersi: da che piano si sarebbe buttato con una dose completa? E quella “dopa al minimo” significa che la dopamina al massimo ti spingerebbe giù da un grattacielo? Ma soprattutto, di che dopamina stiamo parlando?
A pensarci su un tantino, mi sembra quasi di rifare il verso a un mio articolo sul quotidiano “La Nova Sardegna” dell’altro ieri, in cui, parlando di Resistenza e del 25 aprile, citavo un ragazzino di seconda media che, nello svolgere una ricerca sullo stesso tema, trascrisse per intero una monografia sulla “Resistenza elettrica” del ferro da stiro. Pare infatti che, già dal 2003, grazie alla ex Ministra Moratti, di scuola interista, ma anche berlusconiana (e dunque meneghina), la Storia contemporanea sia completamente sparita dai programmi delle nostre scuole elementari e medie, per essere sostituita, presumibilmente, dai molto più fruttuosi “Annunci commerciali” dei Grandi Fratelli.
Ma se la “dopa” in questione è una sorta di droga, che cosa sarà mai stata la “dopamina” che, filandosela dal nostro cervello, ha richiamato in servizio Mister Parkinson? Non resta che approfondire altrove.
Cerco ancora su Internet, alla voce “Dopamina e droga”, e trovo un sito chiamato “Malus.com” dove ogni cosa si chiarisce immediatamente: << Recenti studi hanno evidenziato un ruolo di rilievo svolto dal sistema dopaminergico mesolimbico, cioè dai neuroni dopaminergici posti nell' Area Ventro-Tegmentale (VTA) con proiezioni prevalenti a livello del nucleo accumbens, nella dipendenza e nell'assuefazione da droghe (15-16). Il Nucleo Accumbens (NAc)   funzionalmente integrato nelle circuitazioni limbiche ed extra-piramidali, sembra svolgere un ruolo critico nel mediare non solo gli effetti di rinforzo positivo acuto (gratificazione) delle droghe d'abuso, ma potrebbe essere coinvolto negli aspetti motivazionali della sospensione, dopo assunzione in cronico, quindi nel rinforzo negativo (punizione) proprio del fenomeno astinenziale>>...
Oh, Ka...pataz, che aiuto! Ma sul serio questi studiosi si capiscono fra loro?...  
Forse è meglio passare oltre. Così cerco sul mio Devoto-Oli la  parola “Dopato” e trovo il verbo “dopare”, che significa ”Somministrare ad un atleta sostanze eccitanti allo scopo di migliorarne il rendimento”. E i cantanti? Ritorno a Internet e trovo termini  del tipo “Doping”, che vanno bene soprattutto per i cavalli, ragion per cui, deduco che la “Dopamina” è un’altra cosa. Perciò non mi resta che tornare a Oliver Sacks,  che in un libro ormai classico, “Risvegli (quello del film omonimo, pubblicato nei primi anni 70) parla in termini “miracolistici” di un medicinale chiamato L-dopa;: una sorta di sostituto della  dopamina, che sembrava aver risolto tutti i malanni di Mister Parkinson.
Ma di questo parleremo la prossima volta. Anche perché  proprio questo pomeriggio sarò visitato dal mio neurologo, che dovrà decidere se aumentare o meno la mia dose giornaliera di Ropinirolo, che prima o poi dovrà essere sostituito proprio dall’L-dopa.
Dal canto mio, posso ancora segnalare un mio adattamento ad un nuovo sistemo motorio quasi “olimpionico” , per facilitare la camminata anche in salita della gamba destra, che ho imparato da Dorando Petri, il maratoneta italiano che arrivò primo al traguardo olimpico di Londra del 1908, ma fu squalificato perché alcuni addetti alla pista lo trasportarono quasi di peso al  traguardo finale, vedendo completamente stravolto. Ho rivisto più volte la scena di quell’arrivo e  ho capito che Petri  avrebbe  potuto raggiungere il traguardo anche da solo, perché, nonostante la stanchezza catatonica,  stava tentando di  reinnescare la tecnica del “passo del maratoneta” che consiste nel “buttare” letteralmente davanti a sé stinchi e polpacci delle due gambe (prima una e poi l’altra, ovviamente), senza trascinare i piedi e facendo leva sulle ginocchia.
Con me funziona benissimo e ho quasi l’intenzione di brevettarlo.

P.S. Sono ritornato dal mio neurologo per una visita di controllo. E’ andato tutto bene, Mister Parkinson è rimasto in disparte, quasi indifferente, e non ha interferito minimamente nel controllo medico. Braccia e gambe reagiscono correttamente agli stimoli motori, i piedi soffrono ancora di un sano solletico, gli occhi ci vedono quasi bene  (il destro ha la cataratta, ma Mr Parkinson non c’entra per niente) e hanno le pupille pulite.
Dunque, nessun aumento della quantità quotidiana di Ropinirolo,  i cui presunti effetti collaterali abnormi, sul piano del gioco d’azzardo e su quello, diciamo così,  affettivo, restano ancora da verificare.
La mia confessione sul “passo del maratoneta” è stato giudicato quasi geniale. Modestamente parlando... Quando iniziano le prossime Olimpiadi?

lunedì 18 aprile 2011

MISTER PARKINSON 13 - Il Mantra

MISTER PARKINSON 13 – Il Mantra (Libera-mente, please)

Come al solito siamo in ritardo, sia io che Mister Parkinson. Me ne scuso personalmente, anche a nome del Mister, che in verità se ne infischia completamente, convinto com’è che è sempre colpa del’alter ego, e cioè del sottoscritto. Il fatto è che più passa il tempo e più il Ropinirolo, che ingoiamo a dosi massicce per tre volte al dì, ci fa venire il sonno anche durante il giorno. Soprattutto quando guardiamo la Tv.
La volta scorsa, come qualcuno ricorderà, ho parlato del mio Draghetto in soffitta e dei miei rapporti infantili con Pietrino, il fratello minore della prima generazione, “proprietario” della soffitta stessa. In proposito, mi ha scritto mia nipote Stefania, la figlia più piccola di Pietrino, che vive e lavora a  Tarcento, nell’udinese.  Mi ha raccontato di quando suo padre, il grande motociclista, portò in sella, una volta, zia Francesca, anziana sorella di mia madre. Ma ecco come  la racconta Stefania:
<<Pare che una domenica papà dovette dare un passaggio a zia Francesca per accompagnarla in campagna, lei si sedette sulla lambretta (credo di ricordare questa come moto), ma non a cavalcioni come si fa oggi, ma di lato. Nonna disse che papà correva come un matto, senza badare alle buche che c'erano nelle strade sterrate di campagna; quando arrivò a destinazione, invitò la zia a scendere, ma la zia era scesa molto tempo prima e senza chiederlo. Papà tornò indietro e trovò zia Francesca ancora "seduta" per terra in mezzo alla strada di campagna, tutta impolverata. Questa storia nonna ce la raccontò di nascosto di zia Francesca, quando io e Grazia rimanemmo una settimana a dormire da lei perché mamma era partita a Lourdes>>.
Grazie, Stefania. Un abbraccio da parte mia e di Iole anche a Lorenzo.

Non so se qualcuno l’ha notato, ma questa è la puntata numero 13, che a quanto pare è un numero ambiguo: per alcuni fortunato e per altri portatore di sfiga. Fare 13 (al Totocalcio), una volta era un segnale di ricchezza, mentre oggi quel Toto vale davvero poco. Meglio il 6 o il 5+1. Per quanto mi riguarda, io lo calcolo come un 1+3, che fa 4 e che, ai tempi del Collegio della Brigata Sassari, era il numero di Umberto, mio fratello. Il mio, invece, era il 5 o il 7: non lo ricordo più. Era i numeri della burocrazia collegiale, che servivano per incasellarci nel calderone degli orfani di guerra. I miei numeri preferiti, però, erano il 3 e il  9. Perché?  Semplice: 3x3 fa 9. E che significa? Chi lo sa? Problemi di cabala, immagino.
Che c’entra tutto questo con Mister Parkinson? Assolutamente niente. Si tratta di pura e semplice scaramanzia.
Però, a pensarci bene, anche la scaramanzia può a volte essere confusa con la ricerca di consapevolezza, intesa come forma “energetica” di auto convincimento, nel senso di autostima, eccetera eccetera.. Il che potrebbe avere un senso estremamente positivo, se inteso come accettazione; oppure decisamente ambiguo, se utilizzato come cura esclusiva.  Ad esempio, nel mondo delle pubblicazioni mediche - di cui ho già parlato in una puntata precedente e di cui sono pieni alcuni scaffali della Libreria “Nemo” di mio figlio Enzo Paolo -  ci sono parecchi volumi, richiestissimi, di cure “fai da te”, quasi tutte incentrate su temi di approccio alla malattia di tipo “spirituale”, utilizzando le teorie orientali dello Yoga o simili, come il “Mantra”, che significa “Libera-Mente”. E cioè “liberare la mente dai pensieri”, che è un po’ un controsenso, come rivela una mia vecchia poesia per bambini, che dice:
Contro la paura dei propri pensieri
C’è chi pensa, pensate,// che i propri pensieri pensati // se ne volino via // come cervelli svuotati // da una brutta magia. // Ma è vero o non è vero // che pensare di non pensare //
è già un vero pensiero? // Pensare di non pensare // è dunque una follia, // I propri pensiero pensati // nessuno li porta via.

Niente da dire, ovviamente, contro questo tipo di approccio curativo di auto convincimento, che determina ottimismo e voglia di affrontare con determinazione i propri malanni, senza lasciarsi andare allo scoramento e alla sfiducia in se stessi, oltre che nella  medicina ufficiale (che spesso  funziona anch’essa da toccasana: il che equivale al “mantra”). Però, qualche volta, il dubbio ti assale. Come nel caso di un volumetto recente, d’impostazione auto curante e orientaleggiante (di cui, però, non farò nomi né titolo, per ovvie ragioni di privacy).
In questo libro sono riportate ben oltre 80 malattie, dall’Aids al Varicocele,  tutte curabili con un sistema di autocontrollo energetico che lascia perplessi.
Nel caso di Mister Parkinson, ad esempio, si parla di <<Patologia cronica e degenerativa del sistema nervoso... determinata  da un conflitto irrisolto con l’autorità e con chi la rappresenta...(Ma non era la dopamina?)... Il conflitto con l’autorità può risalire a un rapporto non risolto con il padre o con chi rappresenta l’autorità nella vita della persona... >>. Pertanto: <<chi ha il Morbo di Parkinson... deve rinunciare alla  corazza che si è creata  e che le conferisce rigidità...; deve riaprire la comunicazione  con il padre ( o ripristinare il rapporto con l’autorità, o sentirsi amato da Dio)... riconnettendosi  con l’energia che prima rifiutava>>.
Dunque, nel mio caso, la faccenda sarebbe molto più grave di quanto pensassi. Perché a 72 anni è difficile trovare un padre disconnesso ma disposto a perdonare qualche mia malefatta che risalirebbe a prima del 1944, anno in cui lui morì ed  io avevo solo 5 anni. E’ vero: nella mia logica infantile di allora, lui era mio coetaneo, ma non ricordo affatto alcun motivo di conflittualità tra me  e lui. A meno che non abbia scaricato contro di me, dall’al di là, una vecchia diatriba con mia madre, dovuta al fatto che, ai tempi del Fascio, il 21 di aprile, lui faceva esporre alla finestra la bandiera italiana, dono ufficiale del Partito, e lei, mia madre, a mezzanotte in punto tirava giù la bandiera e, con forbici e aghi in mano,  creava camicette, gilet e mutandine per tutti noi... Ma io che c’entravo? Quelle mutandine rosse bianche e verdi, in “lanitalia” grezza, mi facevano grattare le... cosce mattina  e sera.  
In assenza del padre, rimane l’altra Autorità da gratificare. Chi era? Mia madre? Morta... Zia Francesca? Morta... I mie fratelli più grandi? Tutti defunti. E’ rimasta solo Uccia, mia sorella, anche lei con i suoi  problemi di anzianità, con cui non mi risulta nessun conflitto in atto né retrodatato. Chiederò notizie ai due suoi figli: Antonio e Andrea, ma dubito che abbiano mai sospettato niente di strano nei mie confronti. Dunque, adesso, per battere Mister Parkinson e mandarlo a quel paese, non rimane che farmi  amare da Dio. Ma Lui vive troppo in alto e io non ci arrivo. Qualcuno ha un Mantra da prestarmi?
E mentre il mantra trama nel tremulo mistero del ministro Tremonti, io tremo e  tracimo verso il tramonto dei misteriosi sentieri della mia trepida mente.
A videzzi sani e Buona Pasqua a tutti!!!

venerdì 1 aprile 2011

MISTER PARKINSON 12

MISTER PARKINSON 12

Rieccoci al tema centrale. Nei momenti di relax dal mio lavoro (chiamiamolo così), mi capita spesso di chiedermi come mai Mister Parkinson abbia scelto uno come me, vissuto in una famiglia numerosissima, com’era negli usi del primo ‘900, senza che nessun altro parente abbia mai ricevuto, che io sappia, una sua visitina anche discreta. E che fine avrà fatto la questione genetica, che sarebbe parte fondante anche della nascita e dello sviluppo del nostro burbero e morboso Mister? Ovviamente, se io fossi il  primo della serie per le generazioni future, preciso subito che declinerei fin da ora ogni responsabilità in proposito.
Anzi, l’idea di questo Blog è nata proprio con questa intenzione liberatoria, prima che qualche pronipote si svegli una mattina con il braccio che traballa e si metta ad urlare in giro: “Ecco, lo sapevo! Quello stronzo del mio trisavolo mi ha lasciato in eredità Mister Parkinson”. Perciò è giusto che si sappia in  giro fin da ora che io non l’ho chiamato, non l’ho desiderato e, se fosse dipeso da me, non l’avrei mai nemmeno “defecato”. Quello stronzo del Mister.
Ma ritorniamo alle origini, e cioè al mio passato più lontano. Che cosa mi faceva tremare di più da bambino, nella solitudine chiassosa di una famiglia di nove fratelli, di cui proprio io ero l’ultimo nato?... Forse ci sono: la soffitta della nostra casa di Vicolo delle Campane di San Donato. Era un piccolo spazio a ridosso del tetto, raggiungibile tramite una scaletta di legno che immetteva in una cameretta con finestrella, che a sua volta s’affacciava sui tetti del vicinato. Era lo spazio esclusivo, anzi: il “castello” personale di Pietrino, uno dei tanti miei fratelli più grandi, che però era anche lui un ultimo nato. Infatti era il quinto figlio di una prima moglie di mio padre, morta di parto. Un paio d’anni più tardi, Sarbadore Enna si risposò con Amelia Piredda, che gli diede altri quattro figli, compreso il sottoscritto.
Ma ritorniamo alla piccola soffitta. Pietrino ne era gelosissimo, tanto da non permettere a nessun fratello, soprattutto dell’ultima generazione, di metterci piede. Tranne me, naturalmente. Forse perché ero davvero l’ultimo, e difficilmente avrei tentato di appropriarmi del suo “castello”. Io però ci salivo con estrema circospezione, ma solo quando lui non c’era, perché soltanto così avrei visto il mio “Draghetto” luminoso, che viveva proprio nell’angolo più basso del tetto, accanto al lucernario che, nell’ora del tramonto, lo illuminava in pieno e lo riempiva di splendore fiammante, che mi  faceva eccitare e tremare allo stesso tempo in tutto il corpo.
Ma perché quel Draghetto silenzioso mi viene alla memoria soltanto adesso. E quanti anni avevo per incantarmi, sia pure tremolante, anziché scappare? Non più di tre o quattro, io credo. Ma ora ho il sospetto che anche Pietrino lo vedesse, e questo spiegherebbe perché permetteva soltanto a me di salire nella sua soffitta. Era il nostro segreto.
Eravamo molto diversi, io e lui. Io silenzioso e riflessivo (così mi qualificava Umberto, penultimo della serie e mio difensore  d’ufficio, soprattutto negli anni del Collegio).; lui chiassoso e un po’ “testa di vento”. Io mi eclissavo dal chiasso della famiglia appena possibile, magari dietro il lettone dei miei genitori, a leggere qualche fumetto che fregavo a Giovanni, il primo della seconda serie; Pietrino invece si scatenava con le motociclette del negozio in cui lavorava fin da bambino. Lui aveva un maledetto bisogno di far capire ai suoi fratelli più grandi che valeva molto, perciò sfidava le strade del circondario, anche quelle non asfaltate, esibendosi in sfide paurose, che spesso lasciavano il segno. Poi, un giorno, diventò ferroviere come nostro padre e mise la testa a posto. Sposò Mariuccina ed ebbe tre bellissimi figli.
E la soffitta? Sparita, venduta, dimenticata. Insieme al nostro piccolo segreto luminoso.

Questa volta, niente “Nieddukepighe”, perché forse ho trovato un contatto interessante.
A nos bidere sanos!




giovedì 24 marzo 2011

MISTER PARKINSON 11 + Nieddukepighe - Cap. 3°

24.03.11

MISTER PARKINSON 11 + NIEDDUKEPIGHE  Cap. 3°


Ora lo so quasi con certezza: Nieddukepighe è una storia sbagliata. Lo so perché nemmeno una sola voce si è finora levata  a commentare i primi due capitoli immessi nel mio Blog, da parte dei miei circa  800 lettori   (tra cui 4 americani e persino 2 cinesi, ma dimmi tu!), per commentare o dire qualcosa. Ora so perché i miei editori nicchiano, sorridono, ridacchiano o non rispondono alle mie sollecitazioni per avere risposte relative alle richieste di pubblicazione. C’è poco da fare: quando una storia non va, non va e basta. Hai voglia di applicarti, di correggere, rileggere, togliere, aggiungere... Niente da fare: Boreddu Marrapiccu di Buddusò, detto Nieddukepighe, non funziona come personaggio e la storia è fuori tempo massimo. Pazienza. Io ci ho provato.
Comunque, almeno un capitolo per puntata ve lo rifilerò ugualmente. Per dispetto.

Tuttavia, non era di Nieddukepighe che volevo parlarvi oggi, ma solo di Mister Parkinson... No, non è successo niente di nuovo tra me e lui. Il fatto è che ho avuto la pessima idea, per sfizio o per egocentrismo, di cliccare su Google l’espressione “Mister Parkinson”, scoprendo immediatamente che tale denominazione esiste già da un mucchio di anni. Lo usava ance il buon Bruno Lauzi, il grande cantante genovese, scomparso per sempre nel 2006 proprio a causa di un Mister Parkinson stonato e senza scrupoli, che se lo portò via, forse a causa di una sua  

LETTERA APERTA A MISTER PARKINSON, in cui diceva:

Egregio Signore,
non è con piacere che le scrivo questa lettera, ma d’altra parte avrei dovuto parlarle a quattr’occhi, affrontarla di persona, sopportare quel suo subdolo modo di fare che è quanto c’è di peggio per far perdere la pazienza anche ad un santo, figuriamoci a me.
Le scrivo, come può notare, col computer, perché la mia calligrafia s’è fatta illeggibile e così minuscola che i miei collaboratori devono usare la lente d’ingrandimento per riuscire a decifrarla…

Il resto di questa lettera scanzonata, struggente e aggressiva potrete leggerlo in uno dei tanti siti intitolati a Mister Parkinson, appunto, di cui non potrò mai richiedere (né mai l’avrei richiesto) il copy right..

E allora parliamo del mio Mister Parkinson. Diciamo innanzi tutto che non sta malaccio, grazie. Ultimamente è stato nuovamente con me dal mio neurologo, il quale ha stabilito un certo grado di stabilità, appunto, nei nostri rapporti. Così anche questa volta non mi ha aumentato la dose di Ropinirolo. E questo mi ha in parte tranquillizzato, tanto da indurmi a riprendere in mano la mia vecchia attività  di commediografo, per mettere giù una nuova biografia  romanzata di Esopo, il più grande favolista di tutti tempi, collegandola, in appendice, ad un mio vecchio testo teatrale per il Teatro Stabile  per la GioventùLa Botte e il Cilindro” di Sassari. Ci sto lavorando ormai da un mesetto, soprattutto da quando che ho capito che con Mister Parkinson posso anche non andarci d’accordo, ma non devo farmi  condizionare dalla sua presenza continua, anche se ancora abbastanza discreta. Tanto per darvi un’idea di che cosa si tratta, inserisco l’incipt  della commedia, che si muove su diversi piani (e strapiombi):



Il Lupo e l’Agnello (Storia d’una morte obbligata)


ESOPO
                Questa è la storia  rimata
                         di una morte obbligata,
                  che può essere raccontata,
                                          declamata,
                                             canticchiata,
                                           fischiettata
                              e persino recitata.

                    Chi è più cupo                          

               farà il Lupo.              
            Chi è più bello
               farà l'Agnello.             
                    Chi viene dopo,
                        per combinazione,      
                         sarà l'Esopo
                        della situazione.            

                                                    Esopo:         
                                                    Un giorno d'estate  di grande calura,       
                                                    un lupo e un agnello,
                                                    spinti dalla sete e dall'arsura,
                                                  scesero a bere ad uno stesso ruscello.

Lupo:
 <<Glu, glu, gluuu... Non ce la facevo più!
  Mamma mia, che sete che avevo
  Uuuuh! Ma come scende giù, ma quant'è fresca!
  Erano mesi che non ne bevevo.
  Oh, com' è buona l'acqua di sorgente!>>
                                                           
                                                           Agnello:
                                                           <<Beeeh! Effettivamente...>>
                        Lupo:
                     <<E dopo questa sorsata, non mi faccio un bel pranzetto?
                         Che so: due coscette di pollo,  un bel capretto,
                         un'insalata mista di tacchino,un montone grande e bello,
                         uno spezzattino di vitello…uno stufato di agnellino...>>

(Il resto potrete godervelo a Teatro, perché “Il Lupo e l’Agnello” è già in produzione da ben...16 anni)

L’unico problema, durante questa attività di scrittura, è stato quello di provare un grosso fastidio alla schiena e alle  gambe tutte le volte che, dopo almeno un’oretta, mi alzavo dalla mia poltroncina da computer, forse proprio perché troppo comoda. Così sono passato alle  maniere dure. Niente più poltroncina rossa e morbida con spalliera pieghevole, ma invece una dura sedia da cucina, con sedile di   intrecciate e spalliera durissima. Ora, quando mi alzo, ho il sedere appiattito, ma la schiena regge molto di più. Grazie anche alla mia chiclet.  
A questo puto della giornata, mio figlio Bruno mi  ha rifilato i miei due nipotini, Marco e Sara, che tra un poco mi scipperanno il computer. Meglio così! Non sarò tentato dall’idea di ritornare su Google a trovare altri Mister e Missis Parkinson...

Prima di lasciarvi al terzo capitolo di Nieddkepighe, mi preme sottoporvi ad alcune domande, come prova un po’ complessa della vostra fedeltà a questo Blog.

DOMANDE::
Chi saranno mai i due cinesi che, secondo i dati statistici, seguono il mio blog?
Mi leggeranno direttamente in italiano, oppure si faranno tradurre il Blog in cinese dal computer?
E se il computer non capisce il cinese, come faranno a riderci su?
E mentre ridono, si divertiranno alla cinese oppure tradurranno in sassarese?
E se non ridono, mi devo preoccupare o no?
E Mister Parkinson conosce anche lui il cinese? Speriamo di no, perché mi dispiacerebbe  perdere due fedeli amici così carini.
Comunque, Buona prosecuzione di lettura


            Nieddukepighe – Cap. 3

Capitolo 3
                                                                                     “Il paradiso può attendere”
                                                                                           (Metro Goldwyn Majer)

I
Notte di stelle
    
    Alla luna dolente e malaitta mancava un solo uno spicchio, quella notte, per essere piena. E un po’ ci soffriva, perché quell’angolo non ancora nato, quasi un aborto di luna,  lasciava  uno spazio morto alle stelle lontane, che non volevano saperne di sparire nel buio, com’era loro destino. Anzi, moltiplicarono il loro laido scintillio, mentre si sforzavano di rallegrare  la cordigliera rugosa, da dinosauro addormentato, dell’isola di Tavolara, ad est della città di Olbia. In particolare cercavano di illuminare quell’angolo di spiaggia sassosa, ai piedi della montagna, dove il corpo della guardia forestale a tempo determinato Bachisio Ischirriolu  da Arbatax, col vizio segreto dell’incendio doloso,  giaceva immobile, piantonato a distanza da due carabinieri e assistito da sua moglie, la bella Mariantonia Cuggiolu da Azzanidò, detta Mintonia, ormai vedova inconsolabile, che si lamentava piano, con un lento dondolio del capo coperto da uno scialle:
    <<Maridummeu istimadu,
        chi ses mortu in  mare...
        Ohi, Bakis, maridu amadu,
        chie mi podet consolare?>>[1]
    Ma Bakis non era ancora morto del tutto. Qualcosa lo teneva in vita: forse quella nenia triste della sua Mintonia tanto amata (<<Ahi, Mintonia, Mintoniedda amada!>>... Oppure una fiammella, una scintilla, un barlume di desiderio, una orza mala, una volontà feroce di non mollare, di essere ancora presente...  O forse l’intenso profumo della salsedine mescolata all’aspro odore notturno del lentisco... O ancora il richiamo lontano degli ultimi gabbiani che si attardavano come corvi bianchi sulla scogliera, e le altre voci sommesse della notte. Voci che raccontavano di straordinarie avventure, di magiche notti azzurre, di eroiche imprese mai compiute dai tempi di Piola e Meazza ... Finché la sua forte fibra vitale ebbe un primo sussulto di felicità e subito cedette di schianto.
    Nello stesso, identico istante, le molecole di Boreddu Marrapiccu da Buddusò, noto Nieddukepighe,  riattraversarono a ritroso lo spazio siderale alla velocità della luce e si trapiantarono nel corpo  di Bachisio Ischirriolu, non ancora completamente irrigidito e bagnato fradicio.
    Neanche il tempo di assestarsi un poco e di rendersi conto di dove si trovasse, che l’urlo della folla radiofonica accompagnò la voce dell’annunciatore che diceva:
    <<Goool, goool, goool! Bellissimo goal di Tardelli, che corre ora a centro campo come un invasato, urlando tutta la sua gioia !... Due a zero per l’Italia contro la Germania>>.
     <<Tardelli?! Ma ittegazzu di mondiale è questo? Quella era un’altra Germania!>> si lamentò Boreddu, sempre più confuso.
     Solo allora si rese conto che il maxicomputer celeste del settore M.R.S. viaggiava con 24 anni di ritardo e che la sua prima reincarnazione stava ricominciando dai Mondiali del 1982, in Spagna, allo stadio Bernabeu di Madrid.
    Ma anche qui, procediamo con ordine e alla moviola.

II
Classica, normale o con trapianto

      Michelanghelu Gabriel, il Traghettatore addetto al settore M.R.S. (Metempsicosi Regione Sardegna), era diafano e quasi infantile, ma molto bello nel suo tenue rossore da amorino rinascimentale ermafrodito,  avvolto nella trasparenza da vetro doccia della sua veste candida.
  <<Il Kama-cosa?>> domandò all’arrivo di Boreddu.
  <<Ahem... Volevo dire il Karma>> rispose Boreddu in un sussurro pieno di scuse.
  <<Ah, ecco!... Come la desidera:  classica, normale o con trapianto?>>
   <<Che cosa, scusi?>>.
   <<La reincarnazione del suo nuovo Karma>>.
   <<Ah, quella cosa lì! Beh, ma che differenza c’è?>>
   <<Che quella classica non la facciamo più dai tempi di Gandhi>>.
   <<Come mai?>>
   <<Questioni di natura etica, oltre che igienico-sanitarie. La reincarnazione classica, infatti, si basava sul principio di casualità ed era una vera e propria rinascita, con incredibile perdita di tempo e d’identità, assolutamente priva di memoria e dunque del tutto inutile. Inoltre, veniva somministrata praticamente a cani e a porci. Sapesse quante degne persone in metempsicosi classica hanno dovuto subire l’umiliazione di rinascere sottoforma di scarafaggi o topi di fogna...>>.
    <<Credo d’averne conosciuti parecchie... E la reincarnazione normale?>>
   <<Ce l’ha l’impegnativa?>>
   Boreddu entrò in paranoia da panico:
   <<Beh, no... non c’è stato il tempo>>.
   <<E allora non resta che il trapianto sperimentale, quasi volontario>>.
   <<Perché  quasi volontario?>>
    <<La reincarnazione tramite trapianto, eseguita secondo tecniche molto avanzate, consente di trasferire la propria mente, unitamente al bagaglio esperienziale del soggetto, in un corpo già formato, il cui proprietario sia ovviamente appena defunto>>.
    <<Molto interessante. Ma posso scegliere?>>
    <<Il suo nome, prego>>.
    <<Marrapiccu Boreddu di Buddusò>>.
    Il computer angelico  del settore Metempsicosi Regione Sardegna era un “PC Angel” targato Tiscali S.r.l., a trecento miliardi di megabytes e duecento bilioni di Ram di memoria, fornito di un maxischermo che occupava un intero settore del firmamento, con un effetto-stelle decisamente suggestivo, anche se un po’ démode.
    <<Dunque, vediamo... “Maccioccu... Madau... Madrau... Malemortu... Manuniedda... Mariolu... Marrapiccu: eccolo qua! Cognome: “Marrapiccu”. Nome: “Boreddu”, coniugato con: “Margherita Muntone”, di anni 41, senza prole>>
    <<Purtroppo Margherita è siccarza: sterile, mi’! Lo ha detto il suo ginecologo proprio l’altro ieri>>, precisò Boreddu con un pizzico di malinconia.
    <<Verificheremo, signor Marrapiccu... Soprannome: “Nieddukepighe”: nero di cuore e scuro di pelle>>.
    <<Così mi chiamava la madre superiora del Collegio>> borbottò Boreddu, e Gabriel proseguì impassibile:
     <<Anni: 46. Causa del trapasso: “Fulmine a ciel sereno in soggetto con sindrome da antenna spostata”. Modulo metemspicotico: “Reincarnazione con reminiscenza resipiscente”>>.
    <<Che cosa significa?>>
    <<Che Qualcuno ha già scelto per lei>>.
   <<Ma perché?>>
   <<Vuole proprio saperlo? Perché lei è un vero manigoldo, caro signor Marrapiccu! Lei è un ladro, un dinamitardo, un venditore di morte>>.
   <<Eh, che esagerazione! Per due o tre bombe a mano, un paio di mitra e una decina di chili di esplosivo... Si fa in fretta a dire venditore di morte!>>.
   <<Veramente qui risulta che le armi da lei vendute, in venticinque anni  di attività, corrispondono all’incirca a quello di un piccolo arsenale militare, che le ha consentito un tenore di vita molto alto... Ma non è questo il punto. La vera sostanza è che questa sua attività criminale ha prodotto: decine di attentati a istituzioni pubbliche -  municipi, caserme, eccetera -, otto assalti a furgoni postali, cinque rapine in banca, quindici schioppettate mortali, da dietro altrettanti muretti di campagna, e centinaia di incendi dolosi>>.
    <<Ah, è per questo, allora: per gli incendi dolosi!>>
   <<Vedo che continua a non voler capire, signor Boreddu, noto Nieddukepighe... Lasci allora che le spieghi che, nonostante l’aspetto di persona per bene e rispettosa delle leggi, lei, in sostanza, è il vero prototipo del gran figlio di puttana>>.
   <<Oh, beh, se incominciamo ad offendere, allora...>>
   <<Ma è la verità! E’ scritto tutto qui, nella sua scheda informativa. Legga anche lei... Paternità: “Meticcia”. Maternità: “Mallena Marrapiccu da Buddusò, di professione meretrice”. Inoltre abbiamo qui un  esauriente “Curriculum vitae”. Vuole ascoltarlo?>>
   <<Posso rifiutare?>>
   <<Assolutamente no!>>
   <<E allora ascoltiamo>>.
   <<Nato al di fuori del matrimonio, fu amorevolmente allattato dalla suddetta Mallena per tre giorni interi; dopo di che il soggetto fu affidato alle cure del brefotrofio delle buone suore Poverelle del Santissimo Cuore Immacolato della Madre del Bambin Gesù della città di Sassari, detto il Collegio, da cui egli cercò di scappare per raggiungere la madre,  praticamente non appena riuscì a muovere i primi passi...>>.
    <<Lo chiamano “imprinting”,  lo fanno anche le paperelle, che vanno sempre alla ricerca della mamma... Ma per me era solo il bisogno di succhiare del buon latte materno al posto della brodaglia che mi obbligavano a ingullire le “buone” suore. Poi diventò una necessità esistenziale, e ogni anno che passava, imparavo a conoscere meglio la strada per Buddusò>>.
    <<Controlleremo, e se è davvero così, provvederemo quanto prima a inserire la correzione... Comunque, per ragioni di sicurezza, il giovanissimo Boreddu fu infine espulso definitivamente dall’Istituto per un apocalittico incendio doloso da lui stesso provocato nel maggio del 1975>>.
    E’ straordinario come i piccoli incidenti dei primi anni della vita di un uomo riescano ad incidere profondamente nel suo destino. Era stato infatti un incidente. Ne aveva parlato persino il quotidiano La Nuova Sardegna
Distrutto mezzo Collegio
da un incendio accidentale
    Un banalissimo incidente su cui si era equivocato più del dovuto, segnando profondamente il cammino futuro di Boreddu, che si portò dietro per sempre la triste fama di incendiario, oltre che di dinamitardo. Era in sostanza accaduto che quando il giovane Boreddu aveva scoperto casualmente che il Visconte Donato delle Camelie, grande sponsor del Collegio e assiduo frequentatore dello stesso (forse perché cottu che biddisò, innamorato cotto della madre superiora),  non poteva essere suo padre come aveva sempre segretamente sognato,  egli, soprafatto da un raptus distruttivo, aveva dato fuoco ai suoi quattordici pupazzi di pezza, ciascuno dei quali aveva avuto in dono, in quattordici Natali diversi, dal suddetto Visconte; il fuoco si era poi fatalmente esteso alla brandina e poi all’intera camerata e a tutto il resto.
    Ma mai incendio fu più giusto e fatale di quello! Perché le “buone” suore, stanche di quell’adolescente inquieto e ormai anche pericoloso,  lo impacchettarono alla meglio e lo rispedirono per sempre a Buddusò, da sua madre Mallena. Che lo abbracciò con trasporto, lo sfamò per tre giorni e poi lo spedì a lavorare nelle cave di granito, tra massi giganteschi da tagliare, polveri micidiali da inghiottire e... tonnellate di dinamite e di tritolo da maneggiare.
    Il maxicomputer stellare aveva intanto incominciato a inviare bagliori violetti verso un punto indefinito del firmamento e a declamare con voce metallica:
    <<Trapianto disponibile per Marrapiccu Boreddu... Trapianto disponibile per Marrapiccu Boreddu...>>.
    <<Lei è davvero fortunato, signor Marrapiccu. Vediamo che cosa le ha riservato il suo destino...  Luogo di destinazione: Isola di Tavolara, a  Nord Est della Sardegna>>.
     <<Cavolo, che culo!>>
    <<Come ha detto, scusi?>>.
    <<No, niente, niente! Dicevo che conosco molto bene quella zona. Da ragazzo ci trascorrevo tutte le mie estati, su quella costa: Porto San Paolo, San Teodoro, Budoni, quando ancora il turismo di massa non l’aveva scoperta...>>
    <<Sì, sappiamo tutto di lei>>.
     L’onda dei ricordi lo travolse a tradimento, come se i neuroni si fossero messi d’accordo per affollarsi tutti insieme nell’angolo della memoria, trascurando tutto il resto. E Boreddu si scoprì a raccontare:
    <<Io partivo in pullman da Buddusò verso San Teodoro ogni fine settimana, con tre panini e tre fette di salame, da far bastare per tutto l’weekend. Poi si andava in  spiaggia, alla “Cinta”, per tuffarci nell’acqua limpida e distenderci al sole... Che strano: non ricordo più la sua faccia!>>
    <<La faccia di chi, mi scusi?>>
    <<Di quel ragazzo lungo e secco, quel mio amico di Arbatax che veniva a San Teodoro apposta per giocare con me. Lui aveva almeno quattro anni più di me, ma aveva una faccia da ragazzino e nessuno notava la differenza... Ma perché, poi, mi viene in mente proprio adesso?>>
    <<E’ l’effetto “resipiscenza incorporea”: i suoi neuroni, completamente liberati dalla prigione della scatola cranica, possono ora ricordare a ruota libera>>.
    Il PC Angel annunciò ancora:
   <<Nome del donatore: Bachisio Ischirriolu da Arbatax, di professione guardia forestale>>.
   <<Bakis Ischirriolu?! Ma certo! Era lui, il ragazzo lungo e magro del Settantanove! Questo significa che è morto anche lui e che io dovrei prendere il suo posto?>>
    <<Naturalmente... Il suo posto, la sua casa, la sua mogliettina...>>.
    <<Mintonia ...>>
   <<Mariantonia Cuggiolu di Azzanidò: quella bella ragazza dell’estate del Settantanove>>.
   <<Sì, per essere carina, era carina. Ma ne ho conosciute di migliori>>.
   <<Non ne dubito, però a quell’epoca...>>
   <<A diciannove anni...>>
   <<Con il primo costume scollato....>>.
   <<E che cosce!>>
    <<Però Mintonia preferiva il suo amico Bakis: il compagno lungo e magro e di qualche anno più vecchio di lei...>>.
    <<Già! L’ho odiato molto, per questo>>.
     <<Il che, però, non le impedì di continuare ad essere il suo maggior fornitore di micce per gli incendi... Ma, mi dica: come mai questa passione di Bakis per i fuochi? Era un piromane?>>
      <<No, era un forestale precario. Lui veniva a San Teodoro a lavorare contro gli incendi, perché in Ogliastra c’erano più forestali che alberi da bruciare... Sa come vanno queste cose, no? Niente incendio e niente assunzione per l’antincendio!>>
    <<Capisco. Comunque, il tempo è scaduto, signor Marrapiccu. E’ ora di prendere il posto del suo vecchio amico>>.
    <<Ma posso sapere almeno com’è morto il mio amico Bakis? Non l’ho più incontrato proprio da quell’anno>> si lamentò Boreddu.
  <<Causa ufficiale della morte: Tuffo a volo d’angelo da scogliera di cinquanta metri>>.
    <<Tuffo dalla scogliera? Ma se Bakis non sapeva nemmeno nuotare>>.
    <<Causa reale: Suicidio per conto terzi...>>.
    <<Vuol dire che l’hanno suicidato? Ma perché?>>
    <<In effetti, c’è qualcosa di anomalo in tutta questa faccenda... Anzi, visto che c’è, una volta entrato nei panni del suo amico, le dispiacerebbe osservare attentamente ciò che accade attorno a lei? Che so: facce strane, voci basse, sogghigni sinistri...>>
    <<Ho capito: mi state rimandando laggiù per fare la spia!>>.
    <<Ma no, che ha capito? A noi basta che lei ascolti soltanto, non che riferisca. Vede, signor Marrapiccu, dal momento del suo trapasso abbiamo subito capito che la sua è una mente superassorbente assolutamente fuori dalla norma, capace di autotrapiantarsi addirittura nei ricordi di un gatto...>>.
    <<E’ vero! Per un paio di secondi ho avvertito nel cervello non solo il dolore del gatto Andreotti, ma anche quello di tutti gli altri gatti del mondo che morivano con me in quel preciso momento, urlandomi nel cervello la loro disperata voglia di vivere>>.
   <<E’ esatto. Le sue cellule cerebrali a “specchio”, situate nel lobo frontale, sono capaci di immagazzinare, durante il trapianto, non soltanto le emozioni del suo ospite, ma anche le sue esperienze più remote e inconsce... Per questa ragione le sto chiedendo di osservare attorno a lei ciò che accade e nient’altro. Poi penserà il nostro P.C.Angel a registrare il tutto attraverso la sua memoria superassorbente e a collocare nel settore più adatto l’anima del suo amico incendiario, togliendolo dal Limbo. Ma lei non deve preoccuparsi per il dopo, perché se non accadranno fatti nuovi, lei potrà rivivere nei panni del suo ex amico e consolarsi con Mintonia...>>
    <<Ma io adesso amo la mia Margherita, anche se, purtroppo, non può darmi un  figlio, perché è sterile!>>
   <<Non c’è più tempo, signor Marrapiccu...>>.
    <<E poi Mintonia era una persona strana... Ci parlava sempre di suo padre che era stato un bandito, un latitante,  e di sua madre che un giorno ricevette il corpo di suo marito completamente squartato come un maiale, e allora lei lo lavò da capo a piedi  con l’annaffiatoio, cantando attitidos di vendetta e sciacquandogli il cuore con acqua di sorgente, per non sporcare il cuscino della bara. Roba da film splatter per spettatori sfigati, insomma!>>
    <<Tempo scaduto! Buona reincarnazione!>>
    <<Bang!>>
















[1] Marito mio stimato/ che sei morto in mare/ Ohi, Bakis marito amato/ chi mi potrà consolare?