MISTER PARKINSON, I SUPPOSE
2^ puntata
La maledizione azteca della dopamina
Ormai so quasi tutto sul mio nuovo amico invisibile: l’irreprensibile, silente e un po’ morboso Mister Parkinson, che non ha trovato di meglio da fare che venirmi a trovare alle soglie del mio 72° compleanno, che cade il 21 di dicembre: durante il solstizio d’inverno, la notte più lunga dell’anno e possibile data di chiusura dell’Umanità nel 2012, secondo il calendario azteco.
Ma io che c... c’entro con quello stupido calendario? Non ho mai nemmeno capito come funzioni!
E poi, non sono neppure mai stato in Messico. In Bolivia sì, però. Con Iole, mia moglie, nel 2008. Siamo arrivati fino al Lago Titicaca, a oltre 4.000 metri di altitudine, dopo un lungo viaggio in pullman da La Paz , la capitale della Repubblica Boliviana.
Solo per un pelo non abbiamo incontrato El Mitico Presidente Morales.
Comunque è stata un’esperienza bellissima, anche se faticosa, soprattutto per Iole, che sulla piccola Isola del Sol, illuminata notte e giorno da Luna e Sole e sperduta su quel gran mare di acqua dolce come una giunca-fassonis inchiodata al rosso dell’alba e del tramonto, abbiamo faticato a star dietro al prof Danilo Manera, il capo spedizione, che marciava con passo sicuro sui sentieri collinosi e stretti come carruggi della minuscola isola, senza nemmeno masticare mezza foglia di coca.
Nemmeno io l’ho assaggiata, la coca. Bevuta un po’ sì, ma te la davano a colazione spacciandola per thè, a pranzo per infuso d’erbe salvavita e a cena per camomilla. Forse, proprio per questo, ma senza riconoscerlo, ho incrociato per la prima volta proprio lassù il mio amico segreto indio, El Señor Parkinson.
Aveva un viso rugoso e olivastro, occhi intagliati col machete, zigomi gonfi, naso leggermente schiacciato e una bocca larga che masticava tranquillamente foglie di coca. Sulla fronte gli si stringeva un lembo di sacco di lana grezza, che scendeva lungo le sue spalle, tenendo fermo con l’altro lembo un nuovissimo water di ceramica bianchissima, con tanto di cassa per l’acqua di scarico.
Era l’ultimo della fila di un gruppo di indios che si arrampicavano con addosso quello strano carico lungo un sentiero di collina proprio sotto di noi, partendo da un barcone sul lago ancorato a terra, ed erano diretti, secondo Danilo, alla cima della collina, dove qualcuno aveva costruito un nuovo villaggio turistico, ma aveva dimenticato i cessi.
Il nostro amico era il più anziano di tutti, più o meno sulla cinquantina, ma pur trovandosi in fondo alla fila, saliva il sentiero con la stessa determinazione dei giovani, tanto più che il lembo di sacco sulla fronte gli serviva anche per asciugare il sudore. Quando arrivò alla nostra altezza, si fermò con un sorriso stanco e deviò leggermente verso la vasca di una fontanella naturale che si trovava in un piccolo anfratto. Quasi senza fermarsi, allungò la mano destra, l’affogò nell’acqua e se la passò sulla bocca e sulla fronte. Il braccio e la mano gli tremavano in maniera isterica. Soltanto ora, ripensandoci, mi rendo conto che non si trattava di sola fatica. Ormai ne sono certo: quel saluto con lo stesso braccio tremolante non era un addio, ma un arrivederci. Dopo di che riprese la sua faticosa salita, mentre il cesso immacolato continuava a fissare imperterrito l’orizzonte di madreperla, che scivolava lentamente verso il tramonto.
(Questa storia del cesso immacolato che fissa l’orizzonte di madreperla me la segno. Non si sa mai. Metti che l’ambasciatore d’Italia di La Paz , il mitico dottor Silvio Mignano, poeta prestato alla politica, di cui eravamo ospiti, mi chieda un giorno una relazione, e io allora parto da qui).
A questo punto dovremmo parlare necessariamente di “dopamina”, detta anche “feniletilamina”, che funziona da “neurotrasmettitore endogeno” ( sì, proprio lui: il famoso neurotrasmettitore endogeno, da non confondere ovviamente con l’omologo neurotrasmettitore esogeno, che non serve proprio a niente), ed è prodotta in diverse aree del cervello, tra cui l’ormai leggendaria “substantia nigra”, che non piace ai leghisti né tantomeno a Mister Parkinson, il quale appare allo scoperto proprio quando la dopamina (detta anche feniletilamina, per non dimenticare) sparisce misteriosamente dal cervello di alcuni cinquantenni scriteriati, portando alla luce proprio il loro primordiale “alter ego,” o “amico immaginario” che dir si voglia, e lasciando solitamente in pace gli incolpevoli settataduenni in procinto di ricevere i regali di compleanno e di Natale.
Nel mio caso, purtroppo, la mia scriteriata dopamina se l’è quasi svignata fuori tempo massimo, lasciando il campo libero a qualche multinazionale farmaceutica e ai farmacisti senza scrupoli di produrre sostanze simili taroccate, da propinare in quantità industriale al nostro cervello dedopaminizzato.
Ma il problema più grosso, per noi parkinseniani giovani e anziani, è che ci è assolutamente vietato rivelare il nome della nuova sostanza sostitutiva della dopamina, un po’ per ragione di marketing, ma soprattutto per la presunta pericolosità della sostanza stessa ai non affiliati a Mrs Parkinson.
In proposito, infatti, il cosiddetto “foglietto illustrativo” (meglio noto col nomignolo azzeccato di “bugiardino”) è categorico nell’imporre tassativamente il più assoluto silenzio, con la seguente dicitura (che noi ci siamo permessi di riportare in lingua originale):
“Cuesto medicinalen è stato prescritten per lui per-so-nalmenten. Non lo dia ad altri, Conserfi cuesto folio. Poterebbe affere bisog-no di leccerlo di nuofo... Innomine patri et filli et spirictus sanctus”.
Le conseguenze di questa sorta di dictat sono evidenti. Nessuno beve più dal nostro bicchiere, né tantomeno si avvicina più alle farmacie quando Mister Parkinson ci accompagna all’acquisto del medicinale maledetto.
Ma noi ce l’abbiamo duro. E nella prossima puntata saprete il perché.
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