mercoledì 15 dicembre 2010

MISTER PARKINSON, I SUPPOSE



MISTER PARKINSON, I SUPPOSE!

Forse è solo ritornato da un passato lontano, che avevo accantonato troppo in fretta.
Era soltanto un tic, anzi un “ticchio”, come si diceva allora. Un piccolo strappo del nervo destro del collo che mi storceva leggermente la bocca tutte le volte che ero spaventato o preoccupato. Era la mia minuscola “parte oscura” segreta, che solo io riuscivo a sentire e a controllare. Un po’ come l’amico segreto dei primi anni dell’infanzia.
Tre mesi fa la piccola”parte oscura” è ritornata misteriosamente in attività. Più di sessant’anni dopo. Il nervo teso che ti fa storcere la bocca, un fastidio ascellare da eccesso di sudore, un tremolio all’avambraccio destro. Ma solo per pochi secondi e soprattutto a fine giornata. E’ solo un problema di stress, che cavolo! A meno che...
Vado dal mio dottore per un normale controllo e confido con nonchalance la faccenda del fastidio ascellare  e del tremolio. Lui mi guarda con lo sguardo preoccupato, mi tocca un po’ qua e un po’ là, mi misura la pressione, mi fa fare un girotondo e poi sentenzia: “Qui ci vuole un neurologo luminare!”.
Sono andato dal neurologo, il più luminare possibile, che mi ha analizzato letteralmente da capo a piedi; poi mi ha ordinato una tac, due risonanze magnetiche, tre encefalogrammi e un ecodoppler, più una decina di analisi sanguigne.
In una sola settimana ho fatto tutto. Volevo togliermi subito il pensiero di un ritorno troppo lontano al ticchio infantile che credevo di avere accantonato per sempre.
La prima volta che mi ero misurato con la mia “parte oscura” avevo poco più di cinque anni. Mio padre, il ferroviere Sarbadore de Macummere, un mio coetaneo gigantesco, che m’insegnò a lavarmi la faccia con le mie mani a soli due anni e a non avere paura delle rane dell’orto, era stato ucciso, nel ’44,  alla stazione ferroviaria da due balordi soldati sbandati in cerca di cibo, che lo avevano colpito alle spalle con una baionetta, al solo scopo di appropriarsi di un po’ di granturco da un carro merci. Il mio gigantesco coetaneo avrebbe potuto fare polpette dei due cretini affamati, se solo non l’avessero preso alle spalle, approfittando del fatto che mio padre era diventato mezzo sordo a causa delle due scarse bombe lanciate dagli aerei americani sulla stazione di Sassari alcuni mesi prima.
Babbu Sarbadore, come lo chiamavano i miei fratelli più grandi, per me aveva la mia stessa età: non poteva essere diversamente, visto che eravamo cresciuti insieme. Tutta la tua famiglia, a cinque anni, ha la tua stessa età. Perciò incominciai a pensare che se lui era morto, ora poteva toccare a me.
Forse fu proprio per questo che incominciai a storcere il collo ogni qualvolta mi trovavo in difficoltà. Il mio alter ego segreto era uscito allo scoperto.
Nel foglio allegato alla prima analisi del neurologo si parlava di “Parkinsonismo laterale destro”. “Che  significa?” ho chiesto. “Solo un effetto residuale di qualcosa che ha cercato di colpirla a suo tempo, ma non ce l’ha fatta”. Non poteva: a cinque anni sei più forte di un ferroviere e anche di due soldati assassini.
O forse il mio “lato oscuro” si era rivelato due anni più tardi, a guerra finita, quando  fui rinchiuso, insieme a mio fratello Umberto, in un Collegio per orfani di guerra, la Brigata Sassari: un luogo di cui ricordo soprattutto il pianto disperato della mia maestra di terza alla notizia della tragedia del Grande Torino a Superga: “Bacigalupo, Ballarin, Maroso... E poi c’era... Gabetto... Valentino Mazzola. e...”. La sapeva tutta a memoria, ma qualcuno incominciava già a sfuggirle di mente.  
Durante la seconda visita neurologica, il professore ha guardato le lastre, ha annusato l’ecodoppler, ha scrutato le analisi e poi, guardandomi con aria professionale e stringendomi la mano con lo stesso sussiego con cui l’esploratore Stanley interpellò Livingstone,  ha esclamato: “Msr Parkinson, suppongo !”
Mi aveva confuso con il mio nuovo e definitivo alter ego segreto: Mister Parkinson, appunto!
(Continua)

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