28.11.2011
Domenica 27 novembre 2011 era la Giornata Mondiale di Mister Parkinson, mentre il giorno prima, nella mia città (Sassari), il Centro Parkinson della Clinica Neurologica dell’ospedale civile ha festeggiato i suoi 10 anni di attività, con una serie di incontri, di conferenze e di amorevoli pacche, da parte di medici e infermieri, sulle spalle dei parkinsoniani e relativo parentado. Non è chiaro che cosa ci fosse da festeggiare, ma va bene anche così: per cui, prosit!
Ciò che lascia perplessi, in queste occasioni, è l’insistenza, da parte dell’ufficialità, sulla presunta esatta denominazione del malanno, che non è più “morbo di Parkinson”, ma “malattia di Parkison”, come se il buon Doctor James Parkinson fosse stato direttamente vittima del malanno e non studioso e scopritore. Nessuno, infatti, si sogna di chiamare il Colera la “malattia di Kotch”, dal nome dello scopritore; mentre la diarrea, al contrario, si adegua benissimo alla definizione di “malanno di Umberto”, dopo il diluvio Monti. Nel nostro caso, inoltre, il termine “morbo” ha un puro valore storico, perché fu proprio così che, a suo tempo, fu denominato un vero malanno degenerativo del sistema nervoso, attribuendo la denominazione allo scopritore e non all’ammalato.
Ma chi era questo benemerito studioso che scoprì il morbo che causa la degenerazione del sistema nervoso di parecchi ammalati affidati alle sue cure (compreso il sottoscritto)? Per saperlo, occorre ritornare indietro nel tempo, e più precisamente ai bei tempi delle rivoluzioni settecentesche, in particolare a quelli più vicini alla Rivoluzione Francese.
Com’è noto, la seconda metà del ‘700 fu il periodo storico più incasinato della Storia mondiale, tanto che nessuno Stato, dall’America all’Asia, ne fu completamente immune. Per dirne una: nel decennio che contrassegnò la rivoluzione parigina, persino la Sardegna sentì il bisogno di mandare a quel paese i baroni e i marchesi che dominavano l’Isola da almeno quattro secoli. Così accadde che ad Oristano, nel 1794, ci fu una violentissima rivolta antifeudale che fu guidata da una famiglia di commercianti. E sapete come si chiamavano quei baldi giovanotti rivoluzionari: i fratelli Enna (o Ennas), proprio così! Erano i miei antenati “parigini”, i quali fecero un gran casino e riuscirono persino a scampare, almeno per un po’, alla feroce reazione baronale. Ma di queste vicende parleremo la prossima puntata, dove spiegherò perché l’ombelico dei neonati, in Sardegna, si chiama “Sa enna ‘e s’anima”: la porta dell’anima! Da quella porta/ombelico (enna, janna, janua, janas, Giano, gins) si entra e si esce con un passaporto speciale... Amen!
Ma ritorniamo al nostro James Parkinson e alle sue vicende storico-scientifiche.
James Parkinson nacque a Londra nel 1755. Era figlio di un chirurgo molto apprezzato nella London bene, che intuì subitolo le buone potenzialità del giovane James e lo indirizzò allo studio della medicina. Ma al nostro James, più che lo studio, interessava maggiormente l’analisi di una società che sentiva gli echi di un modello di vita, proveniente dal continente europeo,che sempre di più si allontanava da quello aristocratico e curiale di origini ancora medievali, per puntare su una nuova società dominata dalle capacità organizzative e produttive di quella che veniva già chiamata la “società borghese”. Così James continuò gli studi fino al conseguimento della laurea in medicina all’Hospital Medial College di Londra, senza però trascurare l’attività politica “sovversiva” dei suoi amici rivoluzionari, il cui obiettivo finale era quello di far fuori l’allora re d’Inghilterra Giorgio III. Per sfortuna dei rivoluzionari, il tentativo di golpe fallì miseramente, e i giovani golpisti finirono tutti in prigione, compreso il giovane James, che però fu assolto durante il processo, perché dimostrò di essere estraneo al tentativo di assassinio del re. Così poté riprendere l’attività di chirurgo, che lo allontanò sempre di più dall’attività politica per abbracciare completamente quella di medico ricercatore.
Nel 1817, James Parkinson pubblicò il suo primo lavoro su quella che lui chiamò “paralisi agitante”, che interessava sei casi di suoi pazienti, che soffrivano di tremore, acinesia e rigidità non controllabili. Ma soltanto una quarantina d’anni più tardi, quado James era ormai già defunto dal1824, lo studioso francese Jean Marie Charcot descrisse in un trattato questa particolare condizione clinica, che chiamò "Morbo di Parkinson". E se un grande esperto come Charcot, appena 160 anni fa chiamò “morbo” quello strano malanno, perché oggi laosi vuole presentare come una banale “malattia”?
“Come fu” che io conosca tutte queste cose sul morbo di Parkinson? Perché ho studiato, ho letto dei trattati grossi come mattoni... ma soprattutto ho copiato da Internet.
Perciò chiudo questa puntata, citando una curiosa notizia che ho letto sul sito www.parkinson.it, secondo cui...
Ballare il tango per un anno migliora la funzione motoria nel Parkinson |
Martedì 11 Ottobre 2011 |
Nell'ambito di uno studio controllato che ha confrontato 31 pazienti parkinsoniani che hanno |
Da Parkinson.it
Bella cosa, non vi pare ? Peccato che io, a mala pena, sappia ballare solo il valzer e
“Su ballu tundu”!
I risultati di uno studio controllato
e la maccarena, scientificamente, fa testo?
RispondiElimina