venerdì 29 aprile 2011

MISTER PARKINSON 14 - Dopa dopa, che il gatto scappa!

29.04.11
MISTER PARKINSON 14 –  Dopa dopa, ché il gatto scappa!.

Un saluto a tutti e buon rientro dalla Pasquetta. Nei giorni scorsi, in attesa di rincontrare il mio neurologo, per conoscere a che punto siamo io e il mio omologo sordomuto Mr Parkinson, ho deciso di approfittare del clima pasquale, sempre cosi allegramente ratzingheriano, per approfondire la conoscenza della dopamina, la cui assenza nel mio cervello avrebbe prodotto tutto questo casino. Perciò ho ripreso in mano i sacri testi medici e,  contemporaneamente, ho cercato anche di approfondire il tema cliccando su Google.
Una delle prime cose che ho trovato, alla voce “Dopamina”, è stata questa canzone del cantante rapper Neffa, che mi ha lasciato perplesso:
Dopamina
La enne e la doppia effe a, 
la enne e la doppia effe a, 
la enne e la doppia effe a, 
gia' sai che dopa minimo chico fai, 
la enne e la doppia effe a, 
gia' sai che dopa minimo chico fai, 
la enne e la doppia effe a, 
gia' sai che dopa minimo chico fai, 
la enne e la doppia effe a, 
gia' sai che dopa minimo chico fai, 
la enne e la doppia effe a, 
la enne e la doppia effe a, 
gia' sai che dopa minimo chico fai, 
gia' sai che dopa minimo chico fai.

Vista così, anche graficamente, si direbbe un condominio da cui qualche inquilino svitato si è buttato giù, dopo aver bevuto della varecchina avariata. Ma se si legge con più attenzione si scopre che l’inquilino in questione, “La enne e la doppia effe a”, è lo stesso cantante (N e ff a) che vorrebbe buttarsi dal quattordicesimo piano dopo una dose di “dopa” al minimo che l’avrebbe fatto ritornare “chico”, e cioè bambino. Ci sarebbe il tanto da chiedersi: da che piano si sarebbe buttato con una dose completa? E quella “dopa al minimo” significa che la dopamina al massimo ti spingerebbe giù da un grattacielo? Ma soprattutto, di che dopamina stiamo parlando?
A pensarci su un tantino, mi sembra quasi di rifare il verso a un mio articolo sul quotidiano “La Nova Sardegna” dell’altro ieri, in cui, parlando di Resistenza e del 25 aprile, citavo un ragazzino di seconda media che, nello svolgere una ricerca sullo stesso tema, trascrisse per intero una monografia sulla “Resistenza elettrica” del ferro da stiro. Pare infatti che, già dal 2003, grazie alla ex Ministra Moratti, di scuola interista, ma anche berlusconiana (e dunque meneghina), la Storia contemporanea sia completamente sparita dai programmi delle nostre scuole elementari e medie, per essere sostituita, presumibilmente, dai molto più fruttuosi “Annunci commerciali” dei Grandi Fratelli.
Ma se la “dopa” in questione è una sorta di droga, che cosa sarà mai stata la “dopamina” che, filandosela dal nostro cervello, ha richiamato in servizio Mister Parkinson? Non resta che approfondire altrove.
Cerco ancora su Internet, alla voce “Dopamina e droga”, e trovo un sito chiamato “Malus.com” dove ogni cosa si chiarisce immediatamente: << Recenti studi hanno evidenziato un ruolo di rilievo svolto dal sistema dopaminergico mesolimbico, cioè dai neuroni dopaminergici posti nell' Area Ventro-Tegmentale (VTA) con proiezioni prevalenti a livello del nucleo accumbens, nella dipendenza e nell'assuefazione da droghe (15-16). Il Nucleo Accumbens (NAc)   funzionalmente integrato nelle circuitazioni limbiche ed extra-piramidali, sembra svolgere un ruolo critico nel mediare non solo gli effetti di rinforzo positivo acuto (gratificazione) delle droghe d'abuso, ma potrebbe essere coinvolto negli aspetti motivazionali della sospensione, dopo assunzione in cronico, quindi nel rinforzo negativo (punizione) proprio del fenomeno astinenziale>>...
Oh, Ka...pataz, che aiuto! Ma sul serio questi studiosi si capiscono fra loro?...  
Forse è meglio passare oltre. Così cerco sul mio Devoto-Oli la  parola “Dopato” e trovo il verbo “dopare”, che significa ”Somministrare ad un atleta sostanze eccitanti allo scopo di migliorarne il rendimento”. E i cantanti? Ritorno a Internet e trovo termini  del tipo “Doping”, che vanno bene soprattutto per i cavalli, ragion per cui, deduco che la “Dopamina” è un’altra cosa. Perciò non mi resta che tornare a Oliver Sacks,  che in un libro ormai classico, “Risvegli (quello del film omonimo, pubblicato nei primi anni 70) parla in termini “miracolistici” di un medicinale chiamato L-dopa;: una sorta di sostituto della  dopamina, che sembrava aver risolto tutti i malanni di Mister Parkinson.
Ma di questo parleremo la prossima volta. Anche perché  proprio questo pomeriggio sarò visitato dal mio neurologo, che dovrà decidere se aumentare o meno la mia dose giornaliera di Ropinirolo, che prima o poi dovrà essere sostituito proprio dall’L-dopa.
Dal canto mio, posso ancora segnalare un mio adattamento ad un nuovo sistemo motorio quasi “olimpionico” , per facilitare la camminata anche in salita della gamba destra, che ho imparato da Dorando Petri, il maratoneta italiano che arrivò primo al traguardo olimpico di Londra del 1908, ma fu squalificato perché alcuni addetti alla pista lo trasportarono quasi di peso al  traguardo finale, vedendo completamente stravolto. Ho rivisto più volte la scena di quell’arrivo e  ho capito che Petri  avrebbe  potuto raggiungere il traguardo anche da solo, perché, nonostante la stanchezza catatonica,  stava tentando di  reinnescare la tecnica del “passo del maratoneta” che consiste nel “buttare” letteralmente davanti a sé stinchi e polpacci delle due gambe (prima una e poi l’altra, ovviamente), senza trascinare i piedi e facendo leva sulle ginocchia.
Con me funziona benissimo e ho quasi l’intenzione di brevettarlo.

P.S. Sono ritornato dal mio neurologo per una visita di controllo. E’ andato tutto bene, Mister Parkinson è rimasto in disparte, quasi indifferente, e non ha interferito minimamente nel controllo medico. Braccia e gambe reagiscono correttamente agli stimoli motori, i piedi soffrono ancora di un sano solletico, gli occhi ci vedono quasi bene  (il destro ha la cataratta, ma Mr Parkinson non c’entra per niente) e hanno le pupille pulite.
Dunque, nessun aumento della quantità quotidiana di Ropinirolo,  i cui presunti effetti collaterali abnormi, sul piano del gioco d’azzardo e su quello, diciamo così,  affettivo, restano ancora da verificare.
La mia confessione sul “passo del maratoneta” è stato giudicato quasi geniale. Modestamente parlando... Quando iniziano le prossime Olimpiadi?

lunedì 18 aprile 2011

MISTER PARKINSON 13 - Il Mantra

MISTER PARKINSON 13 – Il Mantra (Libera-mente, please)

Come al solito siamo in ritardo, sia io che Mister Parkinson. Me ne scuso personalmente, anche a nome del Mister, che in verità se ne infischia completamente, convinto com’è che è sempre colpa del’alter ego, e cioè del sottoscritto. Il fatto è che più passa il tempo e più il Ropinirolo, che ingoiamo a dosi massicce per tre volte al dì, ci fa venire il sonno anche durante il giorno. Soprattutto quando guardiamo la Tv.
La volta scorsa, come qualcuno ricorderà, ho parlato del mio Draghetto in soffitta e dei miei rapporti infantili con Pietrino, il fratello minore della prima generazione, “proprietario” della soffitta stessa. In proposito, mi ha scritto mia nipote Stefania, la figlia più piccola di Pietrino, che vive e lavora a  Tarcento, nell’udinese.  Mi ha raccontato di quando suo padre, il grande motociclista, portò in sella, una volta, zia Francesca, anziana sorella di mia madre. Ma ecco come  la racconta Stefania:
<<Pare che una domenica papà dovette dare un passaggio a zia Francesca per accompagnarla in campagna, lei si sedette sulla lambretta (credo di ricordare questa come moto), ma non a cavalcioni come si fa oggi, ma di lato. Nonna disse che papà correva come un matto, senza badare alle buche che c'erano nelle strade sterrate di campagna; quando arrivò a destinazione, invitò la zia a scendere, ma la zia era scesa molto tempo prima e senza chiederlo. Papà tornò indietro e trovò zia Francesca ancora "seduta" per terra in mezzo alla strada di campagna, tutta impolverata. Questa storia nonna ce la raccontò di nascosto di zia Francesca, quando io e Grazia rimanemmo una settimana a dormire da lei perché mamma era partita a Lourdes>>.
Grazie, Stefania. Un abbraccio da parte mia e di Iole anche a Lorenzo.

Non so se qualcuno l’ha notato, ma questa è la puntata numero 13, che a quanto pare è un numero ambiguo: per alcuni fortunato e per altri portatore di sfiga. Fare 13 (al Totocalcio), una volta era un segnale di ricchezza, mentre oggi quel Toto vale davvero poco. Meglio il 6 o il 5+1. Per quanto mi riguarda, io lo calcolo come un 1+3, che fa 4 e che, ai tempi del Collegio della Brigata Sassari, era il numero di Umberto, mio fratello. Il mio, invece, era il 5 o il 7: non lo ricordo più. Era i numeri della burocrazia collegiale, che servivano per incasellarci nel calderone degli orfani di guerra. I miei numeri preferiti, però, erano il 3 e il  9. Perché?  Semplice: 3x3 fa 9. E che significa? Chi lo sa? Problemi di cabala, immagino.
Che c’entra tutto questo con Mister Parkinson? Assolutamente niente. Si tratta di pura e semplice scaramanzia.
Però, a pensarci bene, anche la scaramanzia può a volte essere confusa con la ricerca di consapevolezza, intesa come forma “energetica” di auto convincimento, nel senso di autostima, eccetera eccetera.. Il che potrebbe avere un senso estremamente positivo, se inteso come accettazione; oppure decisamente ambiguo, se utilizzato come cura esclusiva.  Ad esempio, nel mondo delle pubblicazioni mediche - di cui ho già parlato in una puntata precedente e di cui sono pieni alcuni scaffali della Libreria “Nemo” di mio figlio Enzo Paolo -  ci sono parecchi volumi, richiestissimi, di cure “fai da te”, quasi tutte incentrate su temi di approccio alla malattia di tipo “spirituale”, utilizzando le teorie orientali dello Yoga o simili, come il “Mantra”, che significa “Libera-Mente”. E cioè “liberare la mente dai pensieri”, che è un po’ un controsenso, come rivela una mia vecchia poesia per bambini, che dice:
Contro la paura dei propri pensieri
C’è chi pensa, pensate,// che i propri pensieri pensati // se ne volino via // come cervelli svuotati // da una brutta magia. // Ma è vero o non è vero // che pensare di non pensare //
è già un vero pensiero? // Pensare di non pensare // è dunque una follia, // I propri pensiero pensati // nessuno li porta via.

Niente da dire, ovviamente, contro questo tipo di approccio curativo di auto convincimento, che determina ottimismo e voglia di affrontare con determinazione i propri malanni, senza lasciarsi andare allo scoramento e alla sfiducia in se stessi, oltre che nella  medicina ufficiale (che spesso  funziona anch’essa da toccasana: il che equivale al “mantra”). Però, qualche volta, il dubbio ti assale. Come nel caso di un volumetto recente, d’impostazione auto curante e orientaleggiante (di cui, però, non farò nomi né titolo, per ovvie ragioni di privacy).
In questo libro sono riportate ben oltre 80 malattie, dall’Aids al Varicocele,  tutte curabili con un sistema di autocontrollo energetico che lascia perplessi.
Nel caso di Mister Parkinson, ad esempio, si parla di <<Patologia cronica e degenerativa del sistema nervoso... determinata  da un conflitto irrisolto con l’autorità e con chi la rappresenta...(Ma non era la dopamina?)... Il conflitto con l’autorità può risalire a un rapporto non risolto con il padre o con chi rappresenta l’autorità nella vita della persona... >>. Pertanto: <<chi ha il Morbo di Parkinson... deve rinunciare alla  corazza che si è creata  e che le conferisce rigidità...; deve riaprire la comunicazione  con il padre ( o ripristinare il rapporto con l’autorità, o sentirsi amato da Dio)... riconnettendosi  con l’energia che prima rifiutava>>.
Dunque, nel mio caso, la faccenda sarebbe molto più grave di quanto pensassi. Perché a 72 anni è difficile trovare un padre disconnesso ma disposto a perdonare qualche mia malefatta che risalirebbe a prima del 1944, anno in cui lui morì ed  io avevo solo 5 anni. E’ vero: nella mia logica infantile di allora, lui era mio coetaneo, ma non ricordo affatto alcun motivo di conflittualità tra me  e lui. A meno che non abbia scaricato contro di me, dall’al di là, una vecchia diatriba con mia madre, dovuta al fatto che, ai tempi del Fascio, il 21 di aprile, lui faceva esporre alla finestra la bandiera italiana, dono ufficiale del Partito, e lei, mia madre, a mezzanotte in punto tirava giù la bandiera e, con forbici e aghi in mano,  creava camicette, gilet e mutandine per tutti noi... Ma io che c’entravo? Quelle mutandine rosse bianche e verdi, in “lanitalia” grezza, mi facevano grattare le... cosce mattina  e sera.  
In assenza del padre, rimane l’altra Autorità da gratificare. Chi era? Mia madre? Morta... Zia Francesca? Morta... I mie fratelli più grandi? Tutti defunti. E’ rimasta solo Uccia, mia sorella, anche lei con i suoi  problemi di anzianità, con cui non mi risulta nessun conflitto in atto né retrodatato. Chiederò notizie ai due suoi figli: Antonio e Andrea, ma dubito che abbiano mai sospettato niente di strano nei mie confronti. Dunque, adesso, per battere Mister Parkinson e mandarlo a quel paese, non rimane che farmi  amare da Dio. Ma Lui vive troppo in alto e io non ci arrivo. Qualcuno ha un Mantra da prestarmi?
E mentre il mantra trama nel tremulo mistero del ministro Tremonti, io tremo e  tracimo verso il tramonto dei misteriosi sentieri della mia trepida mente.
A videzzi sani e Buona Pasqua a tutti!!!

venerdì 1 aprile 2011

MISTER PARKINSON 12

MISTER PARKINSON 12

Rieccoci al tema centrale. Nei momenti di relax dal mio lavoro (chiamiamolo così), mi capita spesso di chiedermi come mai Mister Parkinson abbia scelto uno come me, vissuto in una famiglia numerosissima, com’era negli usi del primo ‘900, senza che nessun altro parente abbia mai ricevuto, che io sappia, una sua visitina anche discreta. E che fine avrà fatto la questione genetica, che sarebbe parte fondante anche della nascita e dello sviluppo del nostro burbero e morboso Mister? Ovviamente, se io fossi il  primo della serie per le generazioni future, preciso subito che declinerei fin da ora ogni responsabilità in proposito.
Anzi, l’idea di questo Blog è nata proprio con questa intenzione liberatoria, prima che qualche pronipote si svegli una mattina con il braccio che traballa e si metta ad urlare in giro: “Ecco, lo sapevo! Quello stronzo del mio trisavolo mi ha lasciato in eredità Mister Parkinson”. Perciò è giusto che si sappia in  giro fin da ora che io non l’ho chiamato, non l’ho desiderato e, se fosse dipeso da me, non l’avrei mai nemmeno “defecato”. Quello stronzo del Mister.
Ma ritorniamo alle origini, e cioè al mio passato più lontano. Che cosa mi faceva tremare di più da bambino, nella solitudine chiassosa di una famiglia di nove fratelli, di cui proprio io ero l’ultimo nato?... Forse ci sono: la soffitta della nostra casa di Vicolo delle Campane di San Donato. Era un piccolo spazio a ridosso del tetto, raggiungibile tramite una scaletta di legno che immetteva in una cameretta con finestrella, che a sua volta s’affacciava sui tetti del vicinato. Era lo spazio esclusivo, anzi: il “castello” personale di Pietrino, uno dei tanti miei fratelli più grandi, che però era anche lui un ultimo nato. Infatti era il quinto figlio di una prima moglie di mio padre, morta di parto. Un paio d’anni più tardi, Sarbadore Enna si risposò con Amelia Piredda, che gli diede altri quattro figli, compreso il sottoscritto.
Ma ritorniamo alla piccola soffitta. Pietrino ne era gelosissimo, tanto da non permettere a nessun fratello, soprattutto dell’ultima generazione, di metterci piede. Tranne me, naturalmente. Forse perché ero davvero l’ultimo, e difficilmente avrei tentato di appropriarmi del suo “castello”. Io però ci salivo con estrema circospezione, ma solo quando lui non c’era, perché soltanto così avrei visto il mio “Draghetto” luminoso, che viveva proprio nell’angolo più basso del tetto, accanto al lucernario che, nell’ora del tramonto, lo illuminava in pieno e lo riempiva di splendore fiammante, che mi  faceva eccitare e tremare allo stesso tempo in tutto il corpo.
Ma perché quel Draghetto silenzioso mi viene alla memoria soltanto adesso. E quanti anni avevo per incantarmi, sia pure tremolante, anziché scappare? Non più di tre o quattro, io credo. Ma ora ho il sospetto che anche Pietrino lo vedesse, e questo spiegherebbe perché permetteva soltanto a me di salire nella sua soffitta. Era il nostro segreto.
Eravamo molto diversi, io e lui. Io silenzioso e riflessivo (così mi qualificava Umberto, penultimo della serie e mio difensore  d’ufficio, soprattutto negli anni del Collegio).; lui chiassoso e un po’ “testa di vento”. Io mi eclissavo dal chiasso della famiglia appena possibile, magari dietro il lettone dei miei genitori, a leggere qualche fumetto che fregavo a Giovanni, il primo della seconda serie; Pietrino invece si scatenava con le motociclette del negozio in cui lavorava fin da bambino. Lui aveva un maledetto bisogno di far capire ai suoi fratelli più grandi che valeva molto, perciò sfidava le strade del circondario, anche quelle non asfaltate, esibendosi in sfide paurose, che spesso lasciavano il segno. Poi, un giorno, diventò ferroviere come nostro padre e mise la testa a posto. Sposò Mariuccina ed ebbe tre bellissimi figli.
E la soffitta? Sparita, venduta, dimenticata. Insieme al nostro piccolo segreto luminoso.

Questa volta, niente “Nieddukepighe”, perché forse ho trovato un contatto interessante.
A nos bidere sanos!