MISTER PARKINSON 7
7^ puntata
Morbo o malattia, che differenza fa?
Sempre a proposito di Mister Parkinson (giusto per non perdere il filo del discorso), su Google-Internet sembra essersi aperta una diatriba di tipo semantico, legato alla definizione del malanno in questione, che lì viene denominato insistentemente come “malattia” anziché “morbo”, come invece lo definì nel 1817 il suo scopritore , il dottor James Parkinson.
La questione non è faccenda da poco. La parola “morbo”, infatti, sa di medioevo lontano, quello collegato alle epidemie di peste o di colera o di diarrea cronica che non lasciavano scampo; mentre una bella e sana “malattia” può passare per un semplice e legittimo impedimento, da utilizzare anche in ambito di lavoro, magari per farsi stilare un piccolo certificato medico per un paio di giorni di assenza dal servizio (o dal tribunale). Pensiamo, invece, ad un “morbo” vero e proprio: <<Capo, c’ho un morbo allo stomaco che m’impedisce di venire in ufficio per questo week end>>. Apriti cielo! Qui ti mandano a casa tre medici fiscali, che ti rinchiudono in un lazzaretto e buttano via la chiave.
E tuttavia, non manca chi contesta, sostenendo che un sano e romantico “morbo” è più sopportabile (e, comunque, più morbido) di una feroce “malattia”, che sa di “male” e di “maledizione”, che a loro volta stanno per “malaugurio” e “pindacceria”.
Comunque lo si voglia definire, io continuerò a chiamarlo semplicemente Mister Parkinson.
La novità vera di questa puntata è la scoperta che, da un po’ di tempo, con Iole abbiamo incominciato a modificare gli scaffali del mio studio, trascurando per la prima volta i libri di narrativa e quelli per ragazzi, per sostituirli pian piano con testi di Medicina e, in particolare, con trattati che sappiano descrivere il mio cervello. Chissà? Forse studiando meglio i miei neuroni a specchio, le sinapsi e i lobi frontali, riusciremo a capire perché e quando la mia dopamina se l’è svignata.
D’altro canto, il nostro compito è facilitato dalla presenza, nella nostra vita, di una vera e propria libreria, che nostro figlio Nemo gestisce a Porto Torres (in realtà lui di nome fa Enzo Paolo, ma i ragazzini del quartiere lo chiamano Capitano Nemo, per via del nome scelto proprio per quella libreria). Da un po’ di tempo, a causa delle richieste della clientela, sono cresciute a dismisura nella zona centrale del negozio due ripiani contenenti:
a) un incredibile numero di libri di cucina, da “Cotti e mangiati” a “Abbasso la trippa”, che laTv non fa altro che pubblicizzare tutti i santi giorni a tutte le ore, presumibilmente per accontentare gli sponsor di arte culinaria e di pasta Barilla. Si vendono come i panettoni a Natale.
b) un ricco patrimonio di testi di Psicologia, Sociologia e Medicina, che ci hanno subito insospettito. In un primo momento abbiamo pensato che ai distributori di libri avanzassero scantinati interi di testi di questo genere, completamente invenduti, che ora rifilavano al Capitano Nemo, giusto per scaricarsene un bel po’. Ma poi, quando abbiamo dovuto verificare di persona la bontà esplicativa di questi testi scientifici, soprattutto in relazione all’esistenza stessa di Mr. Parkinson, ci siamo accorti che la maggior parte di questi libri sono scritti da persone qualificate, che però hanno deciso di personalizzarli, rendendoli gustosi a qualunque (o quasi) tipo di lettore. Per questo vanno quasi a ruba.
Alcuni di questi libri sono dei veri e propri romanzi-verità, scritti da professionisti della disciplina in questione – medici, psicologi, sociologi, etc. -, desiderosi, finalmente, di farsi capire.
Il vero alfiere di questa rivoluzione comunicativa è il grandissimo Oliver Sacks, professore di Neurologia all’Università di New York. <<Sono un appassionato lettore di storie cliniche – scrive di lui Pietro Citati -, ma non ho mai letto dei racconti psicologici così intensi come quelli narrati da Oliver ne “L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello...E’ un libro che vorrei consigliare a tutti: medici e malati, lettori di romanzi e di poesia cultori di psicologia e metafisica, vagabondi e sedentari, realisti e fantastici>>.
Mi associo in pieno al consiglio dalla A alla Zeta. Sacks non è un semplice neurologo, ma un geniale indagatore e comunicatore di verità scientifiche, capace di trasformarle in poetiche condizioni di vita, anche le più estreme, e soprattutto di renderle accettabili. Uno dei suoi romanzi scientifici più noti, intitolato “Risvegli”, diventò un bellissimo film di Penny Marshall, candidato all’ Oscar nel 1990, con Robert De Niro e Robin Williams. Il film racconta la storia autobiografica dello stesso Oliver Sacks che scopre gli effetti di un nuovo farmaco, l’L-Dopa (sostitutivo della dopamina), che si rivela particolarmente efficace nella terapia del morbo di Parkinson. Sacks somministra il novo farmaco ad un paziente affetto da “Encefalite letargica”, simile al parkinsonismo, e De Niro si risveglia, insieme ad altri ammalati come lui, rivivendo (ma solo illusoriamente) una nuova vita..
L’ultimo trattato-romanzo del nostro neurologo scrittore s’intitola “Musicofilia”, dove Sacks scopre le enormi possibilità terapeutiche della musica nella nostra vita, in quanto <<L’ascolto della musica è un’esperienza non solo uditiva ed emozionale, ma anche motoria>>, e in quanto tale, può essere utilizzata in numerosi settori della nostra esperienza quotidiana.
Esperienza che io cercherò di trasmetterò all’ineffabile Mr Parkinson affinché mediti anche lui sulle emozioni altrui. Perciò prima o poi gli presenterò (ma molto alla lontana) Monsieur Alzheimer, alter ego di un’anziana signora che conosco da una vita.
Monsieur Alzheimer le si presentò con molta discrezione alcuni anni fa, subito dopo la morte dolorosa del marito. Naturalmente l’ineffabile monsieur era già in agguato da tempo, perché anche nel suo caso trattasi della fuga dal cervello di un neurotrasmettitore, e cioè di una molecola fondamentale per la conservazione della memoria..
La signora in questione, indebolita dalla sofferenza per la lunga agonia del marito, è ormai prigioniera di Monsieur Alzheimer, sia pure nella sua prima fase, che la priva della “memoria breve”: il che significa che lei ricorda benissimo gli anni magici vissuti con un marito burbero, ma anche affettuoso, e con due splendidi figli, che gli hanno dato dei nipotini bellissimi; anni, però, che si perdono nel vuoto della memoria quando i fatti che la riguardano sono troppo ravvicinati. In questi casi, secondo i neurologi, la sopravvivenza si trova soprattutto nei punti di riferimento della propria vita: i figli, i nipoti e il proprio habitat naturale, e cioè, la propria casa.
Se avete una certa età e una memoria di m..., diffidate di chi vi propone una vecchiaia da favola presso un istituto per anziani, perché anche se fosse il più bello del mondo, non riuscirebbe mai a sostituire la sicurezza della vostra vera casa, non solo dal punto di vista affettivo, ma anche da quello “topografico”, nel senso che anche nelle fasi più critiche del suo malanno mnemonico, la signora in questione riesce a muoversi nel suo habitat con assoluta tranquillità. Grazie anche alla sua vecchia passione per la bella musica e le belle canzoni che hanno accompagnato la sua vita. Così, quando deve muoversi per raggiungere gli spazi desiderati della sua casa, lei canta a bassa voce una delle tante melodie della sua gioventù e muove diritta dove vuole. Se deve andare nella sua stanza da letto, lei intona “No poto reposare” e non sbaglia un mattone; se deve andare in cucina, dove fa tutto lei, (nonostante la presenza attenta della sua badante), la sua voce melodiosa da contralto intona una vecchia canzone napoletana. Ed è lì che ogni suono e ogni nota, al di là del senso delle parole, diventano di volta in volta un cassetto da aprire, del cibo da cucinare e un tavolo da apparecchiare... Ma a capotavola rimane sempre una sedia vuota.
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