sabato 29 ottobre 2011

MONSU' PARKINSON DEL LIBRO CUORE

MONSU’ PARKINSON DEL LIBRO CUORE

Diciamoci la verità. Il vero problema del mondo di oggi è sempre la Comunicazione. Che però non è mai stato un problema esistenziale, del tipo: “Essere o non essere…Chi siamo, dove andiamo, cosa facciamo, chi paga la cena”…, eccetera. E non è nemmeno una questione di rapporti umani, ma è principalmente un problema di tempo e di tecnologia. Una volta, per esempio, quando non c’erano ancora i telefonini, la posta elettronica e così via, ci si scriveva le lettere, perché la gente aveva un mucchio di tempo da perdere. Se le scrivevano gli innamorati, gli emigrati, i  parenti lontani. Nell’Ottocento,  le scrivevano addirittura i padri ai figli.
Prendiamo il caso del “Libro Cuore”,  quello di Edmondo de Amici, che tutti conosciamo e che ha fatto lacrimare generazioni di scrivani. In questo libro c’è un padre che, per comunicare con il figlio (il quale, si badi bene,  abita a casa sua, mangia alla sua tavola con lui e ogni mattina gli dà persino il bacetto affettuoso  prima d’andare a scuola) : ebbene,  tutte le sante sere questo brav’uomo  sente la necessità di scrivere una lettera al figlio Enrico. Perché lo fa? Forse Enrico ha qualche problema psicologico? E’ balbuziente? Oppure è addirittura sordomuto? Noi non lo sapremo mai. Forse, però,  era  semplicemente quello il suo modo naturale di comunicare, perché, magari,il sordomuto era proprio il padre, chi lo sa?
Ma quel che ci interessa principalmente, in questa sede, è il “tremulo braccio” del papà di Enrico, descritto dall’iconografia ufficiale, che si attarda a definirlo “emotivo” o, peggio ancora, “istintivo e passionale”, ma che a noi appare piuttosto “parkinsoniano”, Lui non lo sapeva, perché il suo creatore forse non ne conosceva neppure l’esistenza. Così un banale tremolio faticatorio  diventava un fattore emotivo in più per avvallare il romanticismo genitoriale del nostro papà scrivano, Monsù Bottini.   
Ma con sua moglie, nel normale rapporto di coppia,  come si comportava, il padre di  Enrico? Ogni volta che doveva comunicare con lei, le scriveva un romanzo d’appendice?…  “Cara Mariarosa Verdirame Princivalle”…  Questo, naturalmente, nelle occasioni ufficiali. Ma nelle situazioni, diciamo così, più intime - la sera a letto, mentre lei s’infilava dentro le lenzuola con la camicia da notte a scafandro, ma senza bigodini , con due bottoncini sbottonati  in maniera civettuola e le caviglie completamente nude - lui che faceva? Si sedeva sul bordo del letto, si chinava sul comodino, prendeva carta e penna e, col suo braccino tremolante, incominciava a scrive: “Cara moglie”. .. Oh! Sua moglie era proprio lì, a due centimetri da lui, bastava allungare una mano, scuoterla un po’, e quella era pronta al sacrificio… Macché! Niente da fare…
“Cara moglie, domani  a pranzo, per il mio genetliaco, anziché la solita minestrina di verdura,  che pure fa tanto bene al mio apparato digerente, avrei tanta voglia di un bel piatto di pennette al sugo.  Ma non di quelle lisce, mia diletta,  bensì quelle  rigate, che mi fan tremar la mano mentre le colgo con la forchetta... proprio come quelle pennette che comprammo insieme, tanto tempo fa,  ricordi?, in quel negozietto all’angolo tra la Via Risorgimento e il viale Savoia… Sai, quell’ometto umile, meschino,  che zoppicava da una gamba  perché gli mancava un piede che gli fu amputato a Custoza, ed era anche  privo del braccino destro che perdette a Solferino… Quel caro, eroico mancino venditore di pennette!”
Oggi, per fortuna,  non è più così. La tecnologia moderna ha enormemente semplificato la comunicazione. I fidanzatini di oggi non sanno più nemmeno cosa sia, non  dico la penna stilografica, ma neppure la biro.  Beh, sì,  la biro la conoscono,  ma  solo perché, quando gli fa male il pollice, la usano per digitare i messaggini  SMS con il cellulare.  E qui, bisogna proprio dirlo,  la comunicazione è stata giustamente ormai ridotta all’osso, per ragioni di tempo,  di spazio e anche di costi.  Al punto che, per interpretare i messaggi dei giovani d’oggi, occorre un criptografo… 
Intanto, hanno eliminato tutte le vocali,  e questo è già un grosso passo avanti, perché in fondo che te ne fai delle vocali? A E I O U… Ormai sono diventate delle espressioni da borgatari:  “AO’, andò VAI?” – “UEH! Gennarie’!”… Inoltre, al posto di certi prefissi, ora si mettono i segni matematici e algebrici, che è poi una soluzione geniale, Faccio un esempio.  Lei digita sul “C - R –C- C”, che vuol dire “CaRo –CiCCi”… Si chiamano Cicci per semplificare, perché se lui si chiama Pierferdinando, diventa tutto un casino. Ma andiamo avanti col messaggino… C’è scritto  “X – K –NN – M- “,  che signfica “PerKè- NoN – Mi ”… Poi viene una “V”, insieme  a una “M”  E qui siamo proprio al rebus delle parole crociate…  In questo caso, infatti, occorre sapere che, nel gergo quotidiano della New Generation,   la “V” sta anche per Vela; e fare Vela vuol dire ancora: “Non andare a scuola”, proprio come ai tempi nostri. In questo caso, però, significa proprio “Vela” e basta….  E dove stanno le vele? Nelle barche. E le barche dove stanno a quest’ora? Nei porti… Dunque, se aggiungiamo la “M”, che vuol dire Mai, abbiamo una prima spiegazione del rebus:… “Perché - non – mi-  porti- mai” … Dove? Andiamo avanti: Ora c’è un segno +, quello dell’addizione,  che potrebbe voler dire tante cose, ma qui è accompagnata  da una “I” che rappresenta, sempre nel loro gergo privato, il simbolo di una candela. A questo punto è facilissimo, no?! Ricapitoliamo pazientemente… Il simbolo + potrebbe essere una Croce… mentre la candela è… di Cera… Dunque: Croce più Cera = Crociera: Da tutto questo, ecco la traduzione completa del messaggio “Perché- Non – Mi - Porti. Mai - In – Crociera?” Firmato:“TM”: “Ti – Amo”.

La cosa più interessante di questo genere di comunicazione telegrafica è che non l’hanno inventata i ragazzi moderni. Nossignori! Esisteva già all’età della pietra, pensate un po’. Mille e mille anni fa, infatti, gli uomini primitivi non conoscevano nemmeno loro le vocali,  e questo si capisce, perché erano davvero dei trogloditi… Comunque, sono state trovate numerosissime rocce piatte, gigantesche, su cui i primitivi scrivevano i loro messaggi. Gli archeologi le chiamano “Stele”: da qui la scoperta del “Linguaggio Stelegrafico”.  Che cosa volevano raccontare i nostri antenati? Per anni e anni e anni non ci ha capito niente nessuno. Fino a quando è stata trovata la “Stele di Umberto”, a Ponte di Legno.  E’ una roccia gigantesca, piatta, ben piantata davanti a una caverna. Sulla stele c’è scritta: “VD – CC – LL - SRGT - DP -  BTT - L - PS T” e poi la firma : MBRT. Dopo anni e anni e anni di studi, gli archeologi della Facoltà di Trento hanno finalmente interpretato la scritta, che secondo loro vuol dire: “VADO – A – CACCIA - ALLA - SORGENTE – DEL - PO – BUTTA – LA – PASTA – TUO - UMBERTO”…  Ma perché ci hanno messo tanto tempo a trovare la traduzione? Perché nel messaggio mancava l’intestazione. Non c’era scritto, che so: “Cara Margherita”, come si fa normalmente con le moglie. Ma poi si è capito che era una forma di immediatezza comunicativa, presumibilmente rallentata da un palese tremolio al braccino destro, dovuto alla tarda  età… C’era da capirlo, il povero Umberto: lui non scriveva con il telefonino o con la biro o con la penna d’oca. Lui aveva una specie di punteruolo fatto di ossidiana, su cui picchiava duro con un  masso di granito, e solo per scrivere la C di Cara ci volevano almeno tre quarti d’ora… E allora, che fai per rispettare l’etichetta? Fai scappare il bisonte?!

Sempre restando nell’ambito del rapporto di coppia, mi sembra utile raccontarvi brevemente l’aneddoto di quei due coniugi veneziani del 2000 avanti Cristo. Erano dei benestanti, avevano un attico in grotta dalle parti di San Marco, e volevano andare in vacanza in Sardegna. <<Ti me l’ha promesso tante volto: te porto in Sardegna, te porto in Sardegna. E alora andemo, ciò>>.  Così, e dai e andemo, partono da Venezia e si fanno tutto il viaggio attorno alla penisola, perché la Sardegna è proprio dall’altra parte… Arrivano dalle parti della Sicilia  e lui, furbetto: <<Varda, Marietta: un’isola! Semo già arrivai in Sardegna>>. Ma lei, che conosceva il linguaggio stelegrafico, vede la scritta  “SCLL – CRDD” sulla punta di Messina e fa:. <<Ma va là, tonto! Leggi lì: c’è scritto “SCILLA e CARIDDI”! Ma ti non leggi mai l’Odissea?>>… Comunque, vanno avanti e dopo dodici anni arrivano sulla punta meridionale della Sardegna, al capo di Pula. <<Tesoro, questa volta xè vero, semo proprio arrivai. Varda lì, c’è la Stele de Nora>>… Nora era una città punica, dove è stata veramente trovata una stele con la scritta SRDN. ..<<Metti a posto tutte le vocali e hai la Sardegna, ostrega!>>. Ma lei non sembrava ancora convinta. <<Non me sembra proprio ela… Nei depliants  de granito che me l’ha ga mandà mia cognata xera più bela, ciò>>. E lui: <<Ma varda qui, nela pietra geografica, ostrega! Qui, dove semo ora, xè la città de Nora… La xè il Capo Teulada: lo cognoscio ben perché ci ho fatto il militare… E  varda qui: xè scritto  KRLS, che vuol dire Karalis, e cioè Cagliari>>. E lei, irritata: <<Karalis? Ma allora ti me g’hai portà in Africa!>>…
Apro qui una piccola parentis politico geografica. Voi dovete sapere che noi sassaresi - che viviamo nel Nord Sardegna- non siamo razzisti… Però dividiamo ugualmente la nostra isola in tre grandi regioni. Da Oristano in giù è Africa; al Centro, fra Barbagia e Macomer, c’è la Terronia; mentre da Alghero in su xè Alto Adige… Chiusa la parentis… <<Ma io volevo andare in Costa, mentecato!>>. <<Ma semo sula costa, benedetta! Varda là: ghe son le scogliere, xè il mare… >> . <<Ma non ‘sta costa! Io volevo dire la Costa Smeralda!>>. <<Oh, bela! Ti xe proprio matta tutta! Noi non podemo andare in Costa… Xè già tutto occupato… Varda qui, sula pietra, la mappa. Ecco: qui xè la villa de Silvio: sono  quattrocento kilometri  quadrati de muro e de filo spinato, per ragioni di sicurezza. Poi c’è la casetta de Paolo: altri duecento kilometri di Auto Estrada tutt’in giro. Più su xè la villa de Marina, poi quela di Piersilvio,  quela della prima moglie… Il convento con vista mare per  le zie suore… E lassù xè Capo Taormina>> . <<Taormina? Ma non gh’era in Sicilia? >> <<Quelo dopo>> <<Dopo cosa?>>. <<Dopo Cristo, benedetta! Noi  ora, co sti padroni del vapore che ce cantano la serenata, xemo  ancora avanti Cristo, troglodita!…>>. 

martedì 11 ottobre 2011

Mr. PARKIN-SON-IO E IL BLOG SPIONE

11 ottobre 2011
Mr PARKIN-SON-IO e  Il BLOG SPIONE
Cari amici, sono molto preoccupato. Ma sia chiaro che qui lo dico e qui lo nego. Anzi, In realtà non me ne frega niente... Non so bene, ad esempio, se la cosiddetta “Legge Bavaglio”, una volta approvata da Mediaset e da Bossi, provvederà a “registrare” anche il mio Blog, impedendomi per legge di intercettare le telefonate dei miei 32 lettori (o sono 33? nel dubbio, spengo il mio cellulare), soprattutto di qualche vecchio gnocco che concupisce la moglie del vicino di sito. Perciò io dichiaro solennemente che non userò questo Blog per ascoltare le lussuriose conversazioni di Palazzo Chigi con qualche mia lettrice bipartisan, per  il semplice motivo che non so come katz si fa. E se lo faccio giuro che non lo rivelerò a nessuno. Ovviamente dopo che quel pirata informatico di mio figlio Mauro mi avrà insegnato a colloquiare tramite Skype anche con la mia nipote americana Grazia Huges, che a me, dall’analisi di alcuni documenti di famiglia, regolarmente sottratti all’Anagrafe e ad una telefonata anonima di sua sorella Stefania,  risulta che si chiama Enna come me; ma suo marito Ralph potrebbe aver opposto il segreto di stato della Casa Bianca, che negli ultimi tempi appare un po’ troppo “abbronzata” e non è nemmeno texana. Insomma, un casino che non vi dico! Ma sarà davvero così importante? Nel dubbio mi pento e chiedo scusa a prescindere...  
Tuttavia dentro di me rimane una domanda: anzi due o tre, che qui le dico e qui le nego. Domande che io oserò porre a chi di dovere, con l’avvertenza che ciò che sto per chiedere non l’ho chiesto io, ma potrebbe essere stata proposto a mia insaputa dalle mie nuore, Sabrina e Claudia , entrambe in felice attesa ormai imminente (uno maschio e l’altra femmina: figuratevi se mi preoccupo dei tremori di Tremonti), nonché nostre vicine di casa, che hanno il computer  sintonizzato col mio router supertecnologico. La domanda è: ma questo mio Blog è un “sito amatoriale”, nel senso di esente dalla galera per il sottoscritto e per le  mie nuore vicine di casa,  oppure una “testata on line registrata” con sole 48 ore di tempo per chiedere scusa prima di sbattermi in galera, come un comune giornalista spione? Nel dubbio, io rettifico e chiedo scusa alla Telecom in sole 24 ore, ma anche in Repubblica e  Nuova Sardegna.

A questo punto però, penso che sia opportuno passare oltre i meandri oscuri e sempre più barbari, nonché idioti, della nostra politica e parlare d’altro. Per esempio di Medicina, quella con la “M” maiuscola, che non si pone problemi di “privaci” e di leggi contro le intercettazioni . Sono  in grado di farlo perché posso ora vantarmi di aver avuto recentemente il privilegio di conoscere e di usufruire personalmente, insieme a Iole,  delle particolarissime doti di  un paio di superchirurghi “autoctoni” - nel senso che sono  entrambi operativi sul nostro territorio (a Sassari e Alghero) -  i quali, nel giro di poche settimane, ci hanno rimesso in sesto da alcuni grossi guai fisici dovuti all’età non più giovane, consentendoci così di affrontare il nuovo decennio con una certa tranquillità. Almeno è quanto ci auguriamo.
Il mio chirurgo salvatore si occupa di pròstate e di papillomi, che lui conosce ormai a memoria da tempo piuttosto lontano: per la precisione dal 1982, quando partecipò per la prima volta, da giovanissimo osservatore specializzando, alla mia prima operazione (mia nel senso che stavano operando proprio me); infatti, è stato lui stesso a scoprire il suo nome nella relazione ufficiale di quel mio lontano intervento, che in quasi trent’anni avevo creduto di poter dimenticare, ma mi sbagliavo. Fortuna ha voluto che lo specializzando in questione sia diventato primario di Urologia ad Alghero, la bellissima città catalana (chiamata anche “Barceloneta”, la piccola Barcellona), che dista a soli 30 kilometri da Sassari ed ha un mare bellissimo, ottimo fornitore di ricci e di coralli, ma soprattutto adeguatamente attrezzato per la pesca subacquea dei primari sportivi che hanno bisogno di relax assoluto, che è l’unica alternativa alle prostrazioni prostatiche e vescicali.
L’altro primario invece, che è giovanissimo, opera all’ospedale civile di Sassari e si occupa di cardiochirurgia. Nel giro di sei-sette ore ha rimesso a posto l’aorta difettosa di Iole con un’operazione chirurgica da manuale, mettendola così in condizioni di riprendere a vivere la sua esistenza quotidiana in un paio di settimane. Ovviamente, sia io che mia moglie non siamo ancora in grado di partecipare alle prossime Olimpiadi, però abbiamo raggiunto la certezza di poterle guardare con una certa tranquillità.
Perché parlo di questo? Qualcuno dirà che in fondo entrambi i primari hanno fatto bene il loro lavoro, e questo da solo sarebbe un buon motivo per parlarne; l’altra ragione è che, secondo quanto si borbotta in giro, entrambi i chirurghi   (ma soprattutto il più giovane) sarebbero oggetto di attenzioni e di lusinghe da parte di altre cliniche molto meno “provinciali” e più famose delle nostre, affinché vi si trasferiscano al più presto possibile. La cosa in sé non sarebbe del tutto “scorretta”: è normale che anche i medici superdotati subiscano il fascino della “nobiltà” ospedaliera, e prima o poi appare ancora più normale che almeno il  giovane cardiochirurgo alzi le vele per andare altrove (l’altro “sinn’affutti”, se ne frega,  perché è un tipo tosto e ha già capito da un sacco di tempo che ciò che vuole dalla vita ce l’ha già, ad Alghero, e lo dice senza peli sulla lingua). Ma è altrettanto normale che noi pazienti “provinciali” intrecciamo le dita, augurandoci che tutto ciò accada il più tardi possibile. E non per semplice egoismo, ma perché ci risulta che entrambi i primari  stanno addestrando a dovere e con vera attenzione gruppi di giovani medici, i quali hanno avuto l’umiltà di capire che anche il talento può essere trasmesso, ma non di corsa. Ed è gradevole vederli attorniare con discrezione il Maestro, e anche con grande attenzione. Quando anche loro saranno pronti, addio e amici come prima.
A proposito, non ho ancora detto i nomi dei due superchirurghi. Il primario urologo sportivo si chiama Angelo Tedde, mentre il giovanissimo cardiochirurgo si chiama Michele Portoghese... Ma, per piacere, almeno per ora non ditelo a quelli dell’ospedale “Brotzu”di Cagliari e dintorni!