12.-.03- 11
MISTER PARKINSON 10 + NIEDDUCHEPIGHE
Comunque sia, mi rifiuto di credere che sia trascorso più di un mese dall'ultima puntata di questo Blog, per il semplice motivo che febbraio aveva solo 28 giorni, e il 12 di marzo, cioè oggi, coincide con 29 giorni esatti dall'ultima puntata; dunque, sono in anticipo di due giorni rispetto alla scadenza di un mese.
Quello snobbone di Mister Parkinson, invece, mi prega caldamente di dirvi di scusarlo per tutti questi ritardi, ci-ci-ccì ci-ci-ccì! Blah! In ogni caso, mi associo alle scuse, ma non transigo, perché mi rendo conto anch’io che i tempi vanno quasi sempre rispettati. Se no, che cosa legge, in ialiano, la mia nipote americana, Grazia Enna, mamma di due splendidi bambini e coniugata con Ralph Huges, che è poi un ex marinaio texano maturato alla vita e al matrimonio a La Maddalena , quando c'erano i marines? E sua sorella Stefania, friulana di adozione, che vive a Tarcento, nell’Udinese, in piena zona leghista, in che lingua mi leggerà? Nel dubbio, le abbraccio tutt’ e due.
Dunque, che cosa è successo in questo scarso mese? E' successo che mio figlio Bruno si è offeso perché la volta scorsa gli ho attribuito un anno in più di età: 43 anziché 42, compiuti fra l'altro lunedì scorso. Lo so, per un padre qualunque è imperdonabile un errore simile, ma io godo delle attenuati generiche dovute all’età e alla presenza, sia pure apparentemente discreta, di Mister Parkinson, che è pur sempre una scusa plausibile, anche se non ha niente a che vedere con la memoria. Però, quando serve, serve... Ora, per esempio posso dire che Stefano, il primogenito, ha 45 anni compiuti (o sono 46?), mentre Enzo Paolo ne compirà 44 tra un mese. E' utile conoscere questi dati (o date)? Nemmeno per sogno, però fa notizia da trasmettere per Blog.
A proposito di Mr Parkinson: ieri ho rivisto il mio neurologo, che mi ha analizzato letteralmente da capo a piedi e ha scoperto che il Ropinirolo è un ottimo medicinale, perché non serve solo a riattivare la funzionalità mancante della dopamina, a giocare al Lotto e agli annessi e connessi all'affettività (beh, sì, insomma...), ma ha anche stabilizzato certi meccanismi motori che sembravano andare a lumache. Insomma, almeno per ora, niente pillole in più, ma solo movimento, movimento, movimento. E bae, Frachiscè!! Domani m’iscrivo alla Milano-San Remo.
Purtroppo, per questa puntata non ho trovato nessun’ “Onda Anomala” da trascrivere sul Blog. In compenso ho un racconto lungo, diviso in capitoli, praticamente un romanzo, e più precisamente un “Noir”, anzi un “Sardonik Noir”, o addirittura una fiction surreale, collegata alla M.R.S. (Metempsicosi Regione Sardegna), e cioè “Su Liminarzu”: il Limbo riservato al Karma dei balentes e dei trafficanti d’armi. S’intitola “Nieddukepighe” (Nero come la pece) ed è ambientato nei Mondiali di Calcio di Germania del 2006. Che c’entra con la Metempsicosi ? Leggete e capirete.
Facciamo così: Io vi pubblico i primi 2 capitoli. Se vi piace, me lo farete sapere attraverso i Commenti del mio Blog o una mail, io pubblicherò il resto nelle successive puntate. Se non vi piace o se non dite niente, chiudo. Buona Lettura.
Francesco Enna
E-mail: ennafranco@yahoo.it
NIEDDUKEPIGHE
(L’ultimo calcio di rigore)
Sardonik Noir
Capitolo 1
Cantami o Diva dell’ultimo rigore
(Homer)
I
Un fulmine a ciel sereno
Nell’arco della sua vita di piccolo trafficante d’armi e di esplosivi, Boreddu Marrapiccu da Buddusò, noto Nieddukepighe, nero di cuore e scuro di pelle, non era mai stato neppure sfiorato dall’idea della morte. E soprattutto della sua morte. Perciò quella sera del 9 luglio 2006, durante la grande finale tra Italia e Francia ai campionati mondiali di Germania, quando un autentico fulmine a ciel sereno lo colpì in pieno come una saetta da giudizio universale, bruciacchiando ke porcu tutti i peli del suo corpo, egli ci rimase letteralmente di merda. Tanto da non avvertire nemmeno il tuono della scarica di fucile automatico proveniente dal basso, e più precisamente da un muretto a secco del tancato di confine del suo cortile, esploso appena un millesimo di secondo dopo l’arrivo del raju faladu: il fulmine piombato dal cielo.
Boreddu non se l’aspettava. Fin da quando si era trasferito in Barbagia non l’aveva mai sfiorato nemmeno il barlume di un sospetto che la sua vita de istranzu invisibile e insospettabile, artificiere asettico e supra partes, mai coinvolto direttamente in faide di balentia, potesse essere in pericolo.
La morte lo colpì con un baleno bianchissimo, che gli attraversò la vita dalla punta dell’indice della mano destra, proteso verso il trasformatore della parabolica del televisore, al tallone della pantofola sinistra, appena sollevato per dare slancio al corpo appesantito da una vita ormai troppo sedentaria. Boreddu non aveva mai visto la morte, ma la riconobbe ugualmente perché fu come trovarsi dentro il bagliore della bomba di Hiroshima, che gli separò l’ombra dal corpo e il corpo dall’anima come una lama di luce nel lividumine d’una tregenda greca.
Sulle cime del Gennargentu, una Luna antica e grassa ke bacca se ne stette a meditare a lungo silenziosa su quel panorama insolitamente vuoto, come se anche tutti gli animali delle montagne fossero incollati a fissare qualcosa. Lentamente declinò i suoi pallidi raggi indagatori sulle strade delle cittadine e dei piccolo paesi sparsi attorno alle Barbagie e lungo i verdi declivi delle colline turgide declamate da poeti e scrittori, ma non riuscì a scoprire nemmeno un netturbino intento a ripulire le piazze. Allora esplorò campanili e palazzi, penetrò nelle finestre spalancate per la calura e solo allora si rese conto della strano rito febbrile che sembrava aver colpito tutte le famiglie di quel micromondo, che era poi tale e quale a quello del macromondo circostante, e cioè: piccoli saltelli davanti a dei quadri luminosi di varie grandezze, gridolini acuti e poi esplosioni di entusiasmo, subito soffocati da mugugni di ripensamento.
Capì di che cosa si trattava quando intravide su un teleschermo digitale a 84 pollici un pallone che tentava disperatamente di sfuggire ai calcioni e ai colpi di testa di un mucchietto di persone in calzoncini e maglietta, sudati che porcos.
<<Ancora cussugazzu ‘e pallone!>> mugugnò imbronciata.
Ahi, luna malaitta e menagrama, che prediceva truci tragedie in terra di Germania!
Ma fortunatamente, quando si rese conto che nessuno l’avrebbe più degnata di uno sguardo per il resto della nottata, la luna mala decise di andare a scialbeggiare sui crasti addormentati dell’altra parte del monte.
In quanto alla scarica di pallottole che era succeduta al fulmine, non solo si limitò a scornacchiare l’ultimo lembo della gigantesca parabolica, di cui Boreddu andava fierissimo, ma contribuì anche a recuperare definitivamente il segnale del grande evento sportivo.
<<Sta tirando l’ultimo rigore Fabio Grosso>> fu l’ultima notizia dal mondo che Boreddu Marrapiccu da Buddusò, detto Nieddukepighe, portò con sé nel precipizio estremo.
II
Il vento, ad esempio
Non c’era un solo alito di vento, quella sera del 9 luglio, alle undici in punto, nel momento esatto in cui il calciatore francese Trezeguet mandò a sbattere sulla traversa il secondo rigore per la Francia. Che cosa, allora, aveva potuto spostare s’antenna tunda del televisore, tanto da costringere Boreddu Marrapiccu ad abbandonare la comoda poltrona del soggiorno per avventurarsi, in bermuda e canottiera, sull’ampio terrazzo della sua mansarda al secondo piano del palazzo dell’estrema periferia di Neulavè?
Abbiamo detto che fino al momento del trapasso, nessun segnale aveva messo in sospetto Boreddu sul fatto che la sua vita potesse essere in pericolo. Ma non è del tutto esatto. Di segni che il suo destino fosse giunto a compimento, quella sera, ce n’erano stati tanti, ma lui li aveva attribuiti sistematicamente alla sfiga della nostra Nazionale di calcio.
Era già l’ora dei rigori.
<<Adesso tocca a Totti!>> aveva trillato felice sua moglie Margherita Muntone.
<<Ma quale Totti, che c’è già uscito! Al suo posto è entrato Del Piero, non te lo ricordi?>> le aveva fatto eco Boreddu, che nel suo intimo conservava una ferrea fede juventina .
<Toti?!>> aveva esclamato dal piano di sotto minnannu Galeazzu Muntone, noto Baionetta, bisnonno di Margherita, classe millenovencentouno, che era sopravvissuto a tutte le guerre del ventesimo secolo, compresa la Grande Guerra , dove, da volontario a soli diciassette anni, si era distinto per l’uso creativo della baionetta, fuori e dentro le trincee, nel glorioso battaglione de sos dimonios della Brigata Sassari. E aveva aggiunto, dopo un accesso improvviso di tosse che aveva rischiato di rimandarlo in trincea per sempre: <<A cussu cuzzone de Toti, deo bi l’aìa natu... glielo avevo detto a Toti che se non legava una baionetta in punta a s’istampella, manco la barba gli faceva a sos Cruccos>>.
<<Quello era un altro Toti, nonno! –aveva gridato Margherita dal piano di sopra. - Questo ha due “ti” e si chiama Franziscu, non Enrico>>.
Era stato proprio in quell’esatto momento che lo schermo del televisore a cristalli liquidi di casa Muntone si era listato di strisce bianconere e le immagini erano affogate in un mare di bollicine.
<<Oh, accimusca! - aveva strillato Margherita contrariata - E adesso come facciamo?>>
<<Dev’essersi spostata la parabolica. Ma ora ci penso io!>> aveva risposto Boreddu, dirigendosi decisamente verso la piccola rampa di scale che portava al terrazzo della mansarda, su cui si trovava la tragica antenna che la luna mala illuminava ancora come la corona di una madonna ferita.
La fretta, l’entusiasmo, l’incoscienza, la certezza de ferru che nessuno avrebbe mai potuto neppure ipotizzare di organizzare un’esecuzione contro di lui proprio durante l’ultima partita del campionato mondiale, oltre all’errata convinzione che tutti i segnali negativi di quella sera riguardassero la squadra azzurra, non gli avevano consentito di notare il lungo gancio di ferro, proveniente dal cortile sottocasa, che aveva spostato la parabolica, inclinandone il posizionamento verso il basso, con conseguente sparizione del segnale.
Si era trattato di una trappola bella e buona, con l’intento di richiamare Boreddu all’aperto e di preparare la strada alla scarica di pallettoni che avrebbe dovuto fracassargli il cranio, Splash!, spargendo schizzi di sangue e brandelli di cervello ai quattro venti, come nella migliore tradizione dei cecchini da muretto, se ci fosse stato almeno un alito di vento. Ma è ormai accertato che il vento non c’era. E non c’era nemmeno il tanto di nuvole per un temporale estivo piccolo piccolo, che avrebbe in qualche modo potuto giustificare quanto accadde subito dopo. Perciò, quello che avrebbe trapassato di lì a poco il corpo di Boreddu Marrapiccu da Buddusò, anticipando inopinatamente la scarica di pallettoni, era stato un autentico fulmine a cielo sereno, regolarmente registrato dal locale Centro Meteorologico.
Ma prima ancora del fulmine, era arrivato Andreotti: un vecchissimo gatto soriano dal pelo liscio e nero come s’inferru e dalle orecchie a sventola, che viveva libero e infelice che gattu solitariu sui terrazzi del circondario, cercando padroni anche temporanei e distribuendo fusa ruffiane ad ogni antennista della zona.
Andreotti, dunque, era arrivato prima del fulmine, saltando dal tronco di un vecchio ginepro che ombreggiava il muro laterale del terrazzo, e aveva adocchiato con sguardo cupido i polpacci pelosi di Boreddu, che gli rievocavano forse antichi amori perduti o teneri ricordi infantili.
<<Va bene così, adesso?>> aveva gridato Boreddu Nieddukepighe, dopo aver spinto verso l’alto la parabola.
<<Non del tutto, caro: prova ancora>>.
Il gatto era entrato in azione proprio in quell’istante, abbrancandosi amorevolmente ai peli del polpaccio destro di Boreddu.
<<Passa via, gatto di merda! Sciò, ché mi elettrizzi i peli!>>.
<<L’immagine sta sparendo di nuovo, tesoro! Rimettila com’era>>.
<<Non posso: c’è Andreotti!>>
<<Ma no che non c’è più! E poi, che te ne frega, ormai? Non l’hanno fatto nemmeno presidente del Senato... Tieni su l’antenna, ché mi fai perdere Buffon>>.
Proprio a questo punto, la voce da chioccia col catarro di tzia Redenta Madonta si era sovrapposta con accenti cupi a quella di Margherita e aveva sentenziato, trapanando fin nel profondo la fiducia nella vita di Boreddu:
<<Cussu Andreotti ha su coro de iscarzoffa! Il cuore di carciofo ci ha, quell’Andreotti!>>
Tzia Redenta Madonta Muntone, figlia di primo letto di nonno Galeazzu, parlava pochissimo e solo quando doveva giudicare una persona; ma quando parlava, non sbagliava mai. Lei possedeva il dono de s’avvisu, della premonizione, e il suo occhio sinistro, che era più nero del carbone e anche un po’ strabico, centrava sempre il bersaglio. A lei bastava guardare negli occhi una persona, anche solo in Tv, per stabilire che tipo di cuore aveva. A volte anche il fegato o i polmoni... E poi ci aveva pure due tasche piene di crasti di granito con sopra delle iscrizioni magiche che servivano a individuare i malanni della gente e a combattere il malocchio. Ma più spesso anche a spiaccicarlo sul destino di qualcuno, il malocchio. Le bastava trovare il sasso giusto e lei sapeva subito chi aveva la diarrea e chi no. E non stava lì a mandartelo a dire: <<Tu ci hai il malocchio all’istintino e domani ti viene la diarrea>>. E l’indomani succedeva deabberu, soprattutto di venerdì santo o di Ognissanti.
Una volta, si raccontava in paese, la veggente era rimasta muta per un anno intero - se non qualche grugnito di tanto in tanto e qualche respiro profondo premonitore -, e quello era stato un vero periodo di rinascita e di felicità per l’intera comunità paesana. Poi, la notte di Ognissanti, tzia Redenta Muntone aveva guardato per caso negli occhi la figlioletta di Jubanne Canu, il sindaco di Neulavè, e aveva sentenziato: <<Custa pitzinna hat su coro canu: questa bambina ha il cuore bianco>>. In tutto il paese era sceso il gelo. Che cosa significava che la figlia del sindaco aveva il cuore “canu”? E chi ha un cuore bianco, a quale futuro può aspirare? O forse per canu ella intendeva che anche il cuore della bambina si chiamava Canu, come il resto del corpo e della famiglia? Nel dubbio, la bambina fu mandata da parenti a Cagliari, dove studiò e si laureo a pieni voti, dimenticando completamente la sinistra premonizione di tzia Redenta Madonta, la veggente. Comunque, pro su sisi o pro su nono, il sindaco Jubanne aveva deliberato in consiglio comunale per un vitalizio a nome di tzia Redenta, da assegnare alla nipote Margherita Muntone affinché se la tenesse ben rinchiusa in casa per tutto l’anno solare, comprese le feste comandate.
Quella sera della grande finale, tzia Redenta aveva dato fondo a tutte le sue capacità di preveggenza praticamente ad ogni passaggio sbagliato dei nostri calciatori o ad ogni tocco dei francesi.
<<Non mi piace per niente! – borbottava tra sé e sé a partita appena iniziata. – Como nde falat su raju: il fulmine ne cade, adesso!>>.
E il fulmine era arrivato puntuale al sesto minuto del primo tempo con il rigore di Zinedine Zidane che aveva messo sotto la nazionale italiana. Boreddu era allora subito corso ai ripari, inviandola di sotto con la scusa di farle recuperare un fiasco di vino novello che a tzia Redenta piaceva tanto, permettendo così a Materazzi di segnare il pareggio al 19° del primo tempo. Ma il rombo di quel fulmine imminente aveva aleggiato sinistramente per quasi tutta la partita.
<< Materazzu?! – aveva esclamato minnannu Galeazzu, al momento del gol del nostro difensore. – Dev’essere lo stesso Materazzu di Calangianus, che ho conosciuto durante la guerra del Carso... Ma non l’ho mai visto saltare, perché camminava sempre rasoterra per non farsi beccare dai cecchini>>.
Detto solo per inciso, anche nonno Galeazzu viveva con Boreddu e Margherita semplicemente perché quella era stata da sempre la sua casa, che i due nipoti avevano completamente restaurato, grazie alle tre pensioni di guerra di minnannu Galeazzu Muntone, universalmente noto Baionetta
Per ritornare a bomba o, meglio, al fulmine assassino, forse era stata proprio la concomitanza dell’elettrizzazione dovuta al contatto dei suoi peli con quelli del gatto, oltre al gelo per la parole di tzia Redenta, a determinare in Boreddu Marrapiccu l’inconsulta reazione che l’aveva condotto a sferrare un destro micidiale sulla pancia del gatto Andreotti, mandando il povero animale a sorvolare il muretto del terrazzo e facendolo sparire verso il cortile. Ma non basta. Al calcione l’uomo aveva accompagnato un perentorio e soddisfatto: <<Crebadu t’agattene!>>
E il gatto questa volta era crepato sul serio. Forse per l’avvilimento di quel calcio inaspettato, forse per la rassegnazione dovuta all’età e alla stanchezza di una vita senza soddisfazioni, il vecchio gatto nero dalle orecchie a sventola non aveva tentato quella volta nemmeno di evitare l’ostacolo rappresentato dall’asta di ferro dello stenditoio del primo piano della palazzina, e aveva lasciato che il cranio ci sbattesse contro con violenza mortale.
Con uguale violenza e millimetrica sincronia, il cielo sereno aveva saettato il fulmine vendicatore contro l’indice di Boreddu proteso verso il miscelatore, schiantandone con un bagliore accecante la forte fibra vitale e lasciando di merda la sicurezza dell’ignoto cecchino del muretto dabbasso. Ma senza l’anticipo di quel fulmine assassino, è assai probabile e anzi zertu che Nieddukepighe avrebbe riconosciuto l’inconfondibile botto del Browning semiautomatico che egli stesso aveva limato e adattato per consegnarlo il giorno prima ad Achille Limbasicca di Talasuni, ex fidanzato segreto e irrimediabilmente non corrisposto di Margherita Muntone in Marrapiccu.
E tuttavia, il colpo secco di fulmine e il rombo del fucile, in quel milionesimo di secondo, non giunsero alle orecchie di Boreddu, perché furono coperti dal boato liberatorio che scosse l’Italia intera, dalle Alpi a Lampedusa:
<<Gooooool!>>
Il giovane terzino sinistro della nostra Nazionale, Grosso di nome e rovente di piede, aveva segnato l’ultimo rigore, assegnando il titolo di Campione del mondo alla squadra italiana.
Ma nemmeno l’eco di quel boato fece in tempo a giungere alle orecchie di Boreddu, perché mentre il suo corpo si frantumava nel bagliore di Hiroshima, egli avvertì, come per una sovrapposizione astrale , lo stesso identico dolore che stava stroncando la vita del gatto Andreotti. E insieme al dolore, in quel milionesimo di secondo che lo separava dalla sua esistenza terrena, sentì anche lo strazio d’una vita felina completamente inutile, mentre nel lampo vivido dell’esplosione atomica vide passare davanti ai suoi occhi sequenze di veloci comignoli conosciuti, di gattine profondamente amate e di padroni disperatamente desiderati.
Così, dunque, muoiono i gatti vagabundos? E i piccoli trafficanti d’armi da guerra, allora? I neri di cuore e senza volto come lui? Niente. Nemmeno la più piccola sequenza del pur lungo film della sua vita gli attraversò la mente nel momento del fatale trapasso.
Pro amore de veritade, tuttavia, un paio di brevissime sequenza della sua vita Boreddu Nieddukepighe le aveva riviste, ma risalivano:
a) all’inizio del secondo tempo supplementare della partita di finale;
b) a non più di quaranta minuti prima dell’incidente.
Per avere visone delle sequenze in questione, occorre effettuare un ulteriore brincu indaesegus, un salto all’indietro, ovvero un “flash-back”. Anzi, due.
Capitolo 2
“Om è l’arco, la saetta e l’anima,
bersaglio della saetta è Braham,
da colpire con immobile certezza”
(Siddharta)
I
Je suis Catherin Deneuve
Breve sequenza di gioco. Poi fermi tutti. Siamo ai primi minuti del secondo tempo supplementare della finalissima di Berlino. C’è aria di forte tensione tra gli azzurri, mentre i transalpini fanno finta di niente e cascano letteralmente dalle nuvole: “Ouì, ouì. ouì, lalalalà, jé né sé pà”...
Il telecronista italiano ne sa meno di tutti e ipotizza un qualche attacco di dissenteria da parte dell’arbitro messicano. Boreddu guarda con aria di rimprovero tzia Redenta, che fa spallucce come a dire che issa no b’intrata nemmeno un po’. Infine la moviola torna indietro e mostra il fattaccio.
E’ proprio in questo preciso istante che minnannu Galeazzu Muntone avverte l’impulso irresistibile di scendere al piano di sotto.
<<Dove andate, nonno?>> gli chiede Boreddu.
<<Al cesso! E inue, si nono?>>
<<Volete che v’accompagni?>>
<<Nono-gazzu! Almeno a pisciare già bi la fatto ancora!>>
Dopo alcuni secondi, viene inquadrato il difensore Materazzi ( <<Materazzu, gazzu! Materazzu su calanzanesu!” precisa caparbio minnannu Galeazzu, mentre scende le scale), che scambia alcune parole di circostanza con l’attaccante francese Zinedine Zidane. Segue un breve scambio di battute e poi il francese ritorna indietro con l’aria di chi dice: <<Non ho capito, scusa...>>. Dopo di che, sbang!, scarica sullo sterno di Materazzi una testata degna di un toro e lo stende a terra.
<<Ma comente... – grida Boreddu: – Ma che cavolo è successo?>>
<<Ana natu cosas: hanno detto cose...>> borbotta tzia Redenta, che da sordomuta volontaria per gran parte dell’anno ha imparato a capire la lettura labiale.
<<Che cosa hanno detto, tzia Redenta?>>.
<<Quello alto, il calanzanese, gli ha detto al pelato: “Ohe, Zizù: a lu sai che l’altra sera mi sono fatto a quella bonazza di Caterin Denev?!” E allora l’altro, incazzato che pibera, ha risposto: “Tu hai insurtato Catrin Denev, e Catrin Denev è una sorela pur muà e pur tu le fransé!”>>
<<La bocca della verità!>> proclama Boreddu trionfante, a futura memoria, mentre tzia Redenta continua la sua telecronaca:
<<E daboi, sbang!: un’istumbata che trau: una testata come un toro focoso gli ha dato!>>. E gli occhi della veggente sembrano aver finalmente ritrovato la luce.
<<Ohè, tzia Redenta! – la redarguisce Boreddu:– Non ti metterai a fare il tifo per i francesi, adesso!>>
<<Mi’ chi nono!>> nega con forza tzia Redenta, puntando il suo occhio ballerino sulla nuca del francese pelato. Pochi secondi dopo, un cartellino rosso spedìsce Zinedine Zidane, noto Zizou, verso gli spogliatoi col passo mesto d’un cane bastonato.
<<Bellu colpu, tzia Redenta!>> si complimentano con trasporto Boreddu e Margherita, mettendo in forte imbarazzo la vecchia veggente dagli occhi micidiali, che ha appena intravisto un altro cartellino, molto più rosso e molto più vicino a loro di quello di Zidane.
II
Alla ricerca del Karma
41° del secondo tempo della partita. Lo scambio tra Franziscu Totti, anche lui ormai senza stampelle, e il sempreverde Del Piero era appena avvenuto. Minnannu Galeazzu dormiva alla grande sprofondato nella sua poltrona; tzia Redenta Madonta Muntone, distesa sul divano, sonnecchiava anche lei con l‘occhio strabico, mentre con quello sano guardava la partita e scuoteva continuamente la testa, mettendo in apprensione Boreddu e Margherita, i quali tenevano gli occhi puntati sul televisore e sudavano, esultavano, si avvilivano, sempre tesi come corde di violino, in attesa di quel maledetto secondo goal che non arrivava e che avrebbe scacciato via l’incubo della maledizione dei rigori.
All’improvviso, una violenta scampanellata all’ingresso dabbasso li riportò alla realtà. Per qualche secondo si guardarono in faccia imbambolati, come a chiedere conferma delle rispettive capacità percettive. Poi il campanello squillò nuovamente e Margherita scattò verso le scale per il piano terra veloce come Cannavaro.
<<No, aspetta! – la fermò Boreddu – E’ meglio che vada io: potrebbe essere un cliente. Tu sta qui a guardare la partita, e non perderne nemmeno un’azione>>.
Boreddu scese, dunque, la breve rampa di scale e andò ad aprire la porta. Ed ecco apparire per la prima volta in questa vicenda il viso tondo e olivastro di Rashid, un pataccaro tibetano, specializzato in coralli e scaramazze, con vocazione misteriosofica: occhi nerissimi, sguardo magnetico, mani svelte e lingua sciolta.
<<Buona sera a te, mio caro compare Nero ke pece>>.
<<Oh, Mandrake, sei ancora tu?... T’ho detto mille volte che per te e per tutti io sono Boreddu, va bene?! E non sono tuo compare!>> rispose Boreddu visibilmente seccato.
<<Tu non arrabbiato con me, ti prego. Anche tu mi chiama me Mandrake, e io invece sono Rashid di Lhasa>>.
<<Va bene, va bene, d’accordo! Dimmi quello che vuoi e facciamola finita>>
<< Io ha bisogno di cinque panetti di tritolo>>.
<<Cinque panetti di che cosa? Ma sei impazzito?!>>.
<<Io ho soldi, io pago>>.
<<Lo so bene che paghi, ci mancherebbe altro! Ma dove li trovo, io, a quest’ora, cinque chili di tritolo? Mica li tengo in casa! E poi, che te ne fai di tutto questo esplosivo?>>.
<<Ora ti spiego io a te... Tra dieci giorni a domani, viene in Italia, a Roma, il ministro degli esteri di Cina, che occupa il mio paese, il Tibet...>>.
<<Okay, e chi se ne frega!>>.
<<Non frega a te, ma a noi della Fronte di Liberazione di Tibet da tirannia di comunisti cinesi ci frega moltissimo>>.
<<Va be’, ma quello arriva a Roma, perciò vattelo a cercare a Roma, il tritolo!>>
<<No, a Roma è troppo pericoloso... E poi noi sa che ministro viene qui in Sardegna, in incognita, in Costa di Smeraldo...>>
<<In incognito in Costa?! Vorrei proprio vederlo, magari da Berlusconi...>>
<<Anch’io voglio vedere lui, prima di saltare in aria!>>
Boreddu entrò in paranoia:
<<Ohè, Rashid, un momento! Non vorrai dirmi che farai il kamikaze, eh? Qui di queste stronzate non ne vogliamo vedere, hai capito?>>.
<<Tranquillo, amico! Neanche a noi piace stronzate: quelle noi le fa fare agli irakeni... Lui saltare in aria con macchina da solo>>.
<<E come fai?>>
<<Magia, Boreddu amico mio: semplice magia, con l’aiuto di qualche panetto di tritolo>> rispose Rashid facendo scintillare gli occhi di perla e agitando nell’aria le sue lunghe dita olivastre.
A questo punto, dall’alto, la voce di Margherita si sovrappose a quella del telecronista della partita e interruppe la conversazione:
<<Boreddu, tesoro: guarda che proprio ora è entrato Del Piero>>.
<<Di nuovo?! Ma non era già entrato poco fa, al posto di Totti?>>.
<<Sì, ma prima era pelato, mentre adesso ha tutti i capelli... Deve avere ancora bevuto quell’acqua con l’uccello>>.
<<Ma come parli, Margheri’! Che uccello e uccello!>>.
E la voce sempre più eccitata di Margherita rispose dalla stanza di sopra:
<<Aspetta, aspetta... In questo momento si sta preparando ad entrare Roberto Baggio>>.
Boreddu spalancò la bocca e la tenne spalancata a lungo. Poi si scosse e commento:
<<Baggio?! Ma siamo impazziti? Quello non gioca più da due anni!>>.
La voce di Margherita sembrava ormai provenire da un mondo arcano e remoto:
<<C’è anche Gigi Riva che si sta riscaldando>>.
<<Riva!? Ma se avrà almeno sessant’anni>> si lasciò scappare Boreddu, sempre più frastornato.
<<Non lo so quanti ne ha – rispose la voce lontana di Margherita -, però in questo momento sta per entrare Gianfranco Zola>>.
Boreddu si appoggiò alla pianta di ficus, rischiando di capovolgersi con essa.
<< Ma che cavolo di Mondiale è questo!? - si lamentò. – Zola si è ritirato l’anno scorso!>>.
<<Quando messa non funziona, si fa appello a tutti i santi!>> sentenziò Rashid. E aggiunse: <<Io già visto questa partita. Italia batte Francia ai rigori sei a quattro... Allora facciamo tre panetti di tritolo?>>
<<T’ho già detto che non ho tritolo in casa: non sono mica scemo... Ma che significa che hai già visto questa partita? Non mi dirai che è in differita!>>
Rashid levò gli occhi al cielo, congiunse le mani e rispose con aria ispirata:
<<Io visto in altra vita. Io già fatto tre campionati mondiali di calcio in due reincarnazioni... Metempsicosi, tu capisce?... Allora, due kilo?>>
Boreddu barcollò vistosamente:
<<Qui qualcun mi sta prendendo per il culo! E che cos’è questa storia della metepsi... cosa?>>
Fu allora che Rashid, detto Mandrache, scatenò la sua libidine misteriosofica:
<<Tu ricorda Platone, grande filosofo? Qui, in tua testa, anima razionale: molto logica, grande ragionamento, due più due quattro kilo... Poi qui, in tuo cuore, anima eroica, molto coraggiosa, grande patriota balente: forza paris, forza Italia... E qui, in tuo pirillino, piri-piri-piri, anima concupiscente... Tu concupisce?>>.
<<Beh, sì, certo - rispose Boreddu imbarazzato, portando le mani in basso, a istintiva difesa delle palle: - almeno una volta la settimana>>.
<<Sempre che non ci sia la partita>> precisò dall’alto Margherita, che per questi argomenti aveva un udito finissimo.
<<Vabbe’, ma che c’entra tutto questo!>> s’inalberò Boreddu.
<<Io Rashid – rispose Rashid di Lhasa – e ho cercato Karma che è mio destino, e mio Karma è buono per Metempsicosi. Prima reincarnazione, mia anima concupiscente in maialo. Seconda reincarnazione, mia anima eroica in centramento...>>
<<Centramento?!>>.
<<Centravanti di sfondamento in Nazionale tibetana: io eroe nazionale, sì. E adesso, per mia terza reincarnazione, mia anima razionale cerca supremo Nirvana filosofico per vincere passione dei sensi... Va bene uno kilo? Io pago>>.
La voce del telecronista aveva intanto assunto un tono eroico, da cinegiornale dell’istituto Luce:
<<Ma ora, in un tripudio di folla plaudente, fanno il loro ingresso in campo Roberto Baggio, Gigi Riva e Gianfranco Zola, mentre ai bordi del terreno di gioco, lungo la pista, si stanno riscaldando il Presidente emerito Francesco Cossiga e il Governatore della Sardegna Renato Soru!>>
<<Forza paris!>> urlò Margherita, saltando per tutto il piano superiore con le mani chiuse a pugno.
<<Mezzo kilo?>> incalzò implacabile Rashid.
Boreddu si passò una mano sugli occhi, poi gonfiò il petto e infine ruggì sordamente:
<<Sentimi bene, Alì Babà delle mie palle! Da quando tu hai messo piede in questa casa, stanno succedendo cose turche qua dentro. Perciò tu adesso mi aspetti qua sotto due minuti, io ti porto la tua roba, ma dopo tu... scarpinare, chiaro? Esci dalla mia casa e dalla mia partita, ve bene?>>.
Ciò detto, Boreddu fece per infilarsi nella porta della cantina, quando si sentì la voce del telecronista che commentava una surreale partita, completamente fuori dal tempo:
<<Ed ecco che Zola riceve il pallone direttamente da Baggio e la passa sulla sinistra a Riva, che s’invola eroicamente con la sua veloce falcata...>>
<<Riva grande campione, molto balente... – esclamò Rashid. – Ma lui non spara da dietro i muretti...>>.
L’ultima battuta di Mandrake arrivò alla coscienza di Boreddu come una stilettata di luce che gli trapanò il cervello, riportandogli cuore e memoria ad un passato lontanissimo, che credeva di aver dimenticato per sempre:
<<Che cosa hai detto?>> esclamò guardando il pataccaro tibetano con occhi spiritati.
<<Io detto solo che Riva è stato grande campione>> rispose Rashid con una gran faccia da schiaffi.
A Boreddu non restò che precipitarsi in cantina, dove rimase dieci secondi contati: il tempo sufficiente a recuperare un vecchio tascapane militare e a portarlo nell’appartamento.
<<Ecco qui! – esclamò con affanno. – Qui dentro non ci sono panetti di tritolo, ma tre bombe a mano tedesche della seconda guerra mondiale. Con queste puoi far fuori tutti i ministri che vuoi, va bene?>>
Rashid era perplesso:
<<Se tu dice che è stessa cosa di tritolo, io ci credo, compare Marrapiccu. Ma come funziona?>>
Boreddu tirò fuori una grossa bomba a mano e indicò la linguetta:
<<E’ facilissimo! Tu devi solo tirare questa linguetta e contare fino a dieci...>>
<<Dieci come dita di mano?>> esclamo Rashid, aprendo le sue manone.
<<Esatto! Ma quando finisci di contare le prime cinque dita, non mettere la bomba tra le gambe, per contare con l’altra mano, hai capito? Se no ti saltano le palle>>.
<<Tranquillo!>> ribatté Rashid, tirando fuori dal taschino un pacco di banconote e afferrando al volo il tascapane. E aggiunse, prima di uscire dalla stanza: <<Tu brava persona... Tu ricorda, compare Nero ke pece, quando tu morire...>>.
<<Oh, ma non sai parlare d’altro?>> protestò Boreddu.
<<Magari fra cinquant’anni, va bene? Quando tu andare lassù, tu chiede il tuo Karma, hai capito? Karma è il tuo destino>>.
Così aveva parlato Rashid il tibetano, detto Mandrache il saggio. E nell’attimo del trapasso, subito dopo l’attacco micidiale del fulmine a ciel sereno, Boreddu Marrapiccu da Buddusò aveva trattenuto per un milionesimo di secondo proprio questa sequenza:
<<Karma solo conta – diceva la voce lontana di Rashid: - Karma è il tuo destino>>.
“Splash!”
Ma ormai l’illuminazione era arrivata.
Così, quando i neuroni della sua mente, ormai scissi dalle molecole fisiche e trasformati in pura energia, si dispersero nel tempo e nello spazio, sconosciuti a se stessi, a Boreddu non fu difficile riunirli in squadra, perché gli era noto il suo destino. E dopo aver superato l’imbarazzo della “prima volta”, fu in grado di presentarsi a chi di dovere e di domandare con voce sicura:
<<Scusi... per il Kamasutra?!>>
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