giovedì 24 marzo 2011

MISTER PARKINSON 11 + Nieddukepighe - Cap. 3°

24.03.11

MISTER PARKINSON 11 + NIEDDUKEPIGHE  Cap. 3°


Ora lo so quasi con certezza: Nieddukepighe è una storia sbagliata. Lo so perché nemmeno una sola voce si è finora levata  a commentare i primi due capitoli immessi nel mio Blog, da parte dei miei circa  800 lettori   (tra cui 4 americani e persino 2 cinesi, ma dimmi tu!), per commentare o dire qualcosa. Ora so perché i miei editori nicchiano, sorridono, ridacchiano o non rispondono alle mie sollecitazioni per avere risposte relative alle richieste di pubblicazione. C’è poco da fare: quando una storia non va, non va e basta. Hai voglia di applicarti, di correggere, rileggere, togliere, aggiungere... Niente da fare: Boreddu Marrapiccu di Buddusò, detto Nieddukepighe, non funziona come personaggio e la storia è fuori tempo massimo. Pazienza. Io ci ho provato.
Comunque, almeno un capitolo per puntata ve lo rifilerò ugualmente. Per dispetto.

Tuttavia, non era di Nieddukepighe che volevo parlarvi oggi, ma solo di Mister Parkinson... No, non è successo niente di nuovo tra me e lui. Il fatto è che ho avuto la pessima idea, per sfizio o per egocentrismo, di cliccare su Google l’espressione “Mister Parkinson”, scoprendo immediatamente che tale denominazione esiste già da un mucchio di anni. Lo usava ance il buon Bruno Lauzi, il grande cantante genovese, scomparso per sempre nel 2006 proprio a causa di un Mister Parkinson stonato e senza scrupoli, che se lo portò via, forse a causa di una sua  

LETTERA APERTA A MISTER PARKINSON, in cui diceva:

Egregio Signore,
non è con piacere che le scrivo questa lettera, ma d’altra parte avrei dovuto parlarle a quattr’occhi, affrontarla di persona, sopportare quel suo subdolo modo di fare che è quanto c’è di peggio per far perdere la pazienza anche ad un santo, figuriamoci a me.
Le scrivo, come può notare, col computer, perché la mia calligrafia s’è fatta illeggibile e così minuscola che i miei collaboratori devono usare la lente d’ingrandimento per riuscire a decifrarla…

Il resto di questa lettera scanzonata, struggente e aggressiva potrete leggerlo in uno dei tanti siti intitolati a Mister Parkinson, appunto, di cui non potrò mai richiedere (né mai l’avrei richiesto) il copy right..

E allora parliamo del mio Mister Parkinson. Diciamo innanzi tutto che non sta malaccio, grazie. Ultimamente è stato nuovamente con me dal mio neurologo, il quale ha stabilito un certo grado di stabilità, appunto, nei nostri rapporti. Così anche questa volta non mi ha aumentato la dose di Ropinirolo. E questo mi ha in parte tranquillizzato, tanto da indurmi a riprendere in mano la mia vecchia attività  di commediografo, per mettere giù una nuova biografia  romanzata di Esopo, il più grande favolista di tutti tempi, collegandola, in appendice, ad un mio vecchio testo teatrale per il Teatro Stabile  per la GioventùLa Botte e il Cilindro” di Sassari. Ci sto lavorando ormai da un mesetto, soprattutto da quando che ho capito che con Mister Parkinson posso anche non andarci d’accordo, ma non devo farmi  condizionare dalla sua presenza continua, anche se ancora abbastanza discreta. Tanto per darvi un’idea di che cosa si tratta, inserisco l’incipt  della commedia, che si muove su diversi piani (e strapiombi):



Il Lupo e l’Agnello (Storia d’una morte obbligata)


ESOPO
                Questa è la storia  rimata
                         di una morte obbligata,
                  che può essere raccontata,
                                          declamata,
                                             canticchiata,
                                           fischiettata
                              e persino recitata.

                    Chi è più cupo                          

               farà il Lupo.              
            Chi è più bello
               farà l'Agnello.             
                    Chi viene dopo,
                        per combinazione,      
                         sarà l'Esopo
                        della situazione.            

                                                    Esopo:         
                                                    Un giorno d'estate  di grande calura,       
                                                    un lupo e un agnello,
                                                    spinti dalla sete e dall'arsura,
                                                  scesero a bere ad uno stesso ruscello.

Lupo:
 <<Glu, glu, gluuu... Non ce la facevo più!
  Mamma mia, che sete che avevo
  Uuuuh! Ma come scende giù, ma quant'è fresca!
  Erano mesi che non ne bevevo.
  Oh, com' è buona l'acqua di sorgente!>>
                                                           
                                                           Agnello:
                                                           <<Beeeh! Effettivamente...>>
                        Lupo:
                     <<E dopo questa sorsata, non mi faccio un bel pranzetto?
                         Che so: due coscette di pollo,  un bel capretto,
                         un'insalata mista di tacchino,un montone grande e bello,
                         uno spezzattino di vitello…uno stufato di agnellino...>>

(Il resto potrete godervelo a Teatro, perché “Il Lupo e l’Agnello” è già in produzione da ben...16 anni)

L’unico problema, durante questa attività di scrittura, è stato quello di provare un grosso fastidio alla schiena e alle  gambe tutte le volte che, dopo almeno un’oretta, mi alzavo dalla mia poltroncina da computer, forse proprio perché troppo comoda. Così sono passato alle  maniere dure. Niente più poltroncina rossa e morbida con spalliera pieghevole, ma invece una dura sedia da cucina, con sedile di   intrecciate e spalliera durissima. Ora, quando mi alzo, ho il sedere appiattito, ma la schiena regge molto di più. Grazie anche alla mia chiclet.  
A questo puto della giornata, mio figlio Bruno mi  ha rifilato i miei due nipotini, Marco e Sara, che tra un poco mi scipperanno il computer. Meglio così! Non sarò tentato dall’idea di ritornare su Google a trovare altri Mister e Missis Parkinson...

Prima di lasciarvi al terzo capitolo di Nieddkepighe, mi preme sottoporvi ad alcune domande, come prova un po’ complessa della vostra fedeltà a questo Blog.

DOMANDE::
Chi saranno mai i due cinesi che, secondo i dati statistici, seguono il mio blog?
Mi leggeranno direttamente in italiano, oppure si faranno tradurre il Blog in cinese dal computer?
E se il computer non capisce il cinese, come faranno a riderci su?
E mentre ridono, si divertiranno alla cinese oppure tradurranno in sassarese?
E se non ridono, mi devo preoccupare o no?
E Mister Parkinson conosce anche lui il cinese? Speriamo di no, perché mi dispiacerebbe  perdere due fedeli amici così carini.
Comunque, Buona prosecuzione di lettura


            Nieddukepighe – Cap. 3

Capitolo 3
                                                                                     “Il paradiso può attendere”
                                                                                           (Metro Goldwyn Majer)

I
Notte di stelle
    
    Alla luna dolente e malaitta mancava un solo uno spicchio, quella notte, per essere piena. E un po’ ci soffriva, perché quell’angolo non ancora nato, quasi un aborto di luna,  lasciava  uno spazio morto alle stelle lontane, che non volevano saperne di sparire nel buio, com’era loro destino. Anzi, moltiplicarono il loro laido scintillio, mentre si sforzavano di rallegrare  la cordigliera rugosa, da dinosauro addormentato, dell’isola di Tavolara, ad est della città di Olbia. In particolare cercavano di illuminare quell’angolo di spiaggia sassosa, ai piedi della montagna, dove il corpo della guardia forestale a tempo determinato Bachisio Ischirriolu  da Arbatax, col vizio segreto dell’incendio doloso,  giaceva immobile, piantonato a distanza da due carabinieri e assistito da sua moglie, la bella Mariantonia Cuggiolu da Azzanidò, detta Mintonia, ormai vedova inconsolabile, che si lamentava piano, con un lento dondolio del capo coperto da uno scialle:
    <<Maridummeu istimadu,
        chi ses mortu in  mare...
        Ohi, Bakis, maridu amadu,
        chie mi podet consolare?>>[1]
    Ma Bakis non era ancora morto del tutto. Qualcosa lo teneva in vita: forse quella nenia triste della sua Mintonia tanto amata (<<Ahi, Mintonia, Mintoniedda amada!>>... Oppure una fiammella, una scintilla, un barlume di desiderio, una orza mala, una volontà feroce di non mollare, di essere ancora presente...  O forse l’intenso profumo della salsedine mescolata all’aspro odore notturno del lentisco... O ancora il richiamo lontano degli ultimi gabbiani che si attardavano come corvi bianchi sulla scogliera, e le altre voci sommesse della notte. Voci che raccontavano di straordinarie avventure, di magiche notti azzurre, di eroiche imprese mai compiute dai tempi di Piola e Meazza ... Finché la sua forte fibra vitale ebbe un primo sussulto di felicità e subito cedette di schianto.
    Nello stesso, identico istante, le molecole di Boreddu Marrapiccu da Buddusò, noto Nieddukepighe,  riattraversarono a ritroso lo spazio siderale alla velocità della luce e si trapiantarono nel corpo  di Bachisio Ischirriolu, non ancora completamente irrigidito e bagnato fradicio.
    Neanche il tempo di assestarsi un poco e di rendersi conto di dove si trovasse, che l’urlo della folla radiofonica accompagnò la voce dell’annunciatore che diceva:
    <<Goool, goool, goool! Bellissimo goal di Tardelli, che corre ora a centro campo come un invasato, urlando tutta la sua gioia !... Due a zero per l’Italia contro la Germania>>.
     <<Tardelli?! Ma ittegazzu di mondiale è questo? Quella era un’altra Germania!>> si lamentò Boreddu, sempre più confuso.
     Solo allora si rese conto che il maxicomputer celeste del settore M.R.S. viaggiava con 24 anni di ritardo e che la sua prima reincarnazione stava ricominciando dai Mondiali del 1982, in Spagna, allo stadio Bernabeu di Madrid.
    Ma anche qui, procediamo con ordine e alla moviola.

II
Classica, normale o con trapianto

      Michelanghelu Gabriel, il Traghettatore addetto al settore M.R.S. (Metempsicosi Regione Sardegna), era diafano e quasi infantile, ma molto bello nel suo tenue rossore da amorino rinascimentale ermafrodito,  avvolto nella trasparenza da vetro doccia della sua veste candida.
  <<Il Kama-cosa?>> domandò all’arrivo di Boreddu.
  <<Ahem... Volevo dire il Karma>> rispose Boreddu in un sussurro pieno di scuse.
  <<Ah, ecco!... Come la desidera:  classica, normale o con trapianto?>>
   <<Che cosa, scusi?>>.
   <<La reincarnazione del suo nuovo Karma>>.
   <<Ah, quella cosa lì! Beh, ma che differenza c’è?>>
   <<Che quella classica non la facciamo più dai tempi di Gandhi>>.
   <<Come mai?>>
   <<Questioni di natura etica, oltre che igienico-sanitarie. La reincarnazione classica, infatti, si basava sul principio di casualità ed era una vera e propria rinascita, con incredibile perdita di tempo e d’identità, assolutamente priva di memoria e dunque del tutto inutile. Inoltre, veniva somministrata praticamente a cani e a porci. Sapesse quante degne persone in metempsicosi classica hanno dovuto subire l’umiliazione di rinascere sottoforma di scarafaggi o topi di fogna...>>.
    <<Credo d’averne conosciuti parecchie... E la reincarnazione normale?>>
   <<Ce l’ha l’impegnativa?>>
   Boreddu entrò in paranoia da panico:
   <<Beh, no... non c’è stato il tempo>>.
   <<E allora non resta che il trapianto sperimentale, quasi volontario>>.
   <<Perché  quasi volontario?>>
    <<La reincarnazione tramite trapianto, eseguita secondo tecniche molto avanzate, consente di trasferire la propria mente, unitamente al bagaglio esperienziale del soggetto, in un corpo già formato, il cui proprietario sia ovviamente appena defunto>>.
    <<Molto interessante. Ma posso scegliere?>>
    <<Il suo nome, prego>>.
    <<Marrapiccu Boreddu di Buddusò>>.
    Il computer angelico  del settore Metempsicosi Regione Sardegna era un “PC Angel” targato Tiscali S.r.l., a trecento miliardi di megabytes e duecento bilioni di Ram di memoria, fornito di un maxischermo che occupava un intero settore del firmamento, con un effetto-stelle decisamente suggestivo, anche se un po’ démode.
    <<Dunque, vediamo... “Maccioccu... Madau... Madrau... Malemortu... Manuniedda... Mariolu... Marrapiccu: eccolo qua! Cognome: “Marrapiccu”. Nome: “Boreddu”, coniugato con: “Margherita Muntone”, di anni 41, senza prole>>
    <<Purtroppo Margherita è siccarza: sterile, mi’! Lo ha detto il suo ginecologo proprio l’altro ieri>>, precisò Boreddu con un pizzico di malinconia.
    <<Verificheremo, signor Marrapiccu... Soprannome: “Nieddukepighe”: nero di cuore e scuro di pelle>>.
    <<Così mi chiamava la madre superiora del Collegio>> borbottò Boreddu, e Gabriel proseguì impassibile:
     <<Anni: 46. Causa del trapasso: “Fulmine a ciel sereno in soggetto con sindrome da antenna spostata”. Modulo metemspicotico: “Reincarnazione con reminiscenza resipiscente”>>.
    <<Che cosa significa?>>
    <<Che Qualcuno ha già scelto per lei>>.
   <<Ma perché?>>
   <<Vuole proprio saperlo? Perché lei è un vero manigoldo, caro signor Marrapiccu! Lei è un ladro, un dinamitardo, un venditore di morte>>.
   <<Eh, che esagerazione! Per due o tre bombe a mano, un paio di mitra e una decina di chili di esplosivo... Si fa in fretta a dire venditore di morte!>>.
   <<Veramente qui risulta che le armi da lei vendute, in venticinque anni  di attività, corrispondono all’incirca a quello di un piccolo arsenale militare, che le ha consentito un tenore di vita molto alto... Ma non è questo il punto. La vera sostanza è che questa sua attività criminale ha prodotto: decine di attentati a istituzioni pubbliche -  municipi, caserme, eccetera -, otto assalti a furgoni postali, cinque rapine in banca, quindici schioppettate mortali, da dietro altrettanti muretti di campagna, e centinaia di incendi dolosi>>.
    <<Ah, è per questo, allora: per gli incendi dolosi!>>
   <<Vedo che continua a non voler capire, signor Boreddu, noto Nieddukepighe... Lasci allora che le spieghi che, nonostante l’aspetto di persona per bene e rispettosa delle leggi, lei, in sostanza, è il vero prototipo del gran figlio di puttana>>.
   <<Oh, beh, se incominciamo ad offendere, allora...>>
   <<Ma è la verità! E’ scritto tutto qui, nella sua scheda informativa. Legga anche lei... Paternità: “Meticcia”. Maternità: “Mallena Marrapiccu da Buddusò, di professione meretrice”. Inoltre abbiamo qui un  esauriente “Curriculum vitae”. Vuole ascoltarlo?>>
   <<Posso rifiutare?>>
   <<Assolutamente no!>>
   <<E allora ascoltiamo>>.
   <<Nato al di fuori del matrimonio, fu amorevolmente allattato dalla suddetta Mallena per tre giorni interi; dopo di che il soggetto fu affidato alle cure del brefotrofio delle buone suore Poverelle del Santissimo Cuore Immacolato della Madre del Bambin Gesù della città di Sassari, detto il Collegio, da cui egli cercò di scappare per raggiungere la madre,  praticamente non appena riuscì a muovere i primi passi...>>.
    <<Lo chiamano “imprinting”,  lo fanno anche le paperelle, che vanno sempre alla ricerca della mamma... Ma per me era solo il bisogno di succhiare del buon latte materno al posto della brodaglia che mi obbligavano a ingullire le “buone” suore. Poi diventò una necessità esistenziale, e ogni anno che passava, imparavo a conoscere meglio la strada per Buddusò>>.
    <<Controlleremo, e se è davvero così, provvederemo quanto prima a inserire la correzione... Comunque, per ragioni di sicurezza, il giovanissimo Boreddu fu infine espulso definitivamente dall’Istituto per un apocalittico incendio doloso da lui stesso provocato nel maggio del 1975>>.
    E’ straordinario come i piccoli incidenti dei primi anni della vita di un uomo riescano ad incidere profondamente nel suo destino. Era stato infatti un incidente. Ne aveva parlato persino il quotidiano La Nuova Sardegna
Distrutto mezzo Collegio
da un incendio accidentale
    Un banalissimo incidente su cui si era equivocato più del dovuto, segnando profondamente il cammino futuro di Boreddu, che si portò dietro per sempre la triste fama di incendiario, oltre che di dinamitardo. Era in sostanza accaduto che quando il giovane Boreddu aveva scoperto casualmente che il Visconte Donato delle Camelie, grande sponsor del Collegio e assiduo frequentatore dello stesso (forse perché cottu che biddisò, innamorato cotto della madre superiora),  non poteva essere suo padre come aveva sempre segretamente sognato,  egli, soprafatto da un raptus distruttivo, aveva dato fuoco ai suoi quattordici pupazzi di pezza, ciascuno dei quali aveva avuto in dono, in quattordici Natali diversi, dal suddetto Visconte; il fuoco si era poi fatalmente esteso alla brandina e poi all’intera camerata e a tutto il resto.
    Ma mai incendio fu più giusto e fatale di quello! Perché le “buone” suore, stanche di quell’adolescente inquieto e ormai anche pericoloso,  lo impacchettarono alla meglio e lo rispedirono per sempre a Buddusò, da sua madre Mallena. Che lo abbracciò con trasporto, lo sfamò per tre giorni e poi lo spedì a lavorare nelle cave di granito, tra massi giganteschi da tagliare, polveri micidiali da inghiottire e... tonnellate di dinamite e di tritolo da maneggiare.
    Il maxicomputer stellare aveva intanto incominciato a inviare bagliori violetti verso un punto indefinito del firmamento e a declamare con voce metallica:
    <<Trapianto disponibile per Marrapiccu Boreddu... Trapianto disponibile per Marrapiccu Boreddu...>>.
    <<Lei è davvero fortunato, signor Marrapiccu. Vediamo che cosa le ha riservato il suo destino...  Luogo di destinazione: Isola di Tavolara, a  Nord Est della Sardegna>>.
     <<Cavolo, che culo!>>
    <<Come ha detto, scusi?>>.
    <<No, niente, niente! Dicevo che conosco molto bene quella zona. Da ragazzo ci trascorrevo tutte le mie estati, su quella costa: Porto San Paolo, San Teodoro, Budoni, quando ancora il turismo di massa non l’aveva scoperta...>>
    <<Sì, sappiamo tutto di lei>>.
     L’onda dei ricordi lo travolse a tradimento, come se i neuroni si fossero messi d’accordo per affollarsi tutti insieme nell’angolo della memoria, trascurando tutto il resto. E Boreddu si scoprì a raccontare:
    <<Io partivo in pullman da Buddusò verso San Teodoro ogni fine settimana, con tre panini e tre fette di salame, da far bastare per tutto l’weekend. Poi si andava in  spiaggia, alla “Cinta”, per tuffarci nell’acqua limpida e distenderci al sole... Che strano: non ricordo più la sua faccia!>>
    <<La faccia di chi, mi scusi?>>
    <<Di quel ragazzo lungo e secco, quel mio amico di Arbatax che veniva a San Teodoro apposta per giocare con me. Lui aveva almeno quattro anni più di me, ma aveva una faccia da ragazzino e nessuno notava la differenza... Ma perché, poi, mi viene in mente proprio adesso?>>
    <<E’ l’effetto “resipiscenza incorporea”: i suoi neuroni, completamente liberati dalla prigione della scatola cranica, possono ora ricordare a ruota libera>>.
    Il PC Angel annunciò ancora:
   <<Nome del donatore: Bachisio Ischirriolu da Arbatax, di professione guardia forestale>>.
   <<Bakis Ischirriolu?! Ma certo! Era lui, il ragazzo lungo e magro del Settantanove! Questo significa che è morto anche lui e che io dovrei prendere il suo posto?>>
    <<Naturalmente... Il suo posto, la sua casa, la sua mogliettina...>>.
    <<Mintonia ...>>
   <<Mariantonia Cuggiolu di Azzanidò: quella bella ragazza dell’estate del Settantanove>>.
   <<Sì, per essere carina, era carina. Ma ne ho conosciute di migliori>>.
   <<Non ne dubito, però a quell’epoca...>>
   <<A diciannove anni...>>
   <<Con il primo costume scollato....>>.
   <<E che cosce!>>
    <<Però Mintonia preferiva il suo amico Bakis: il compagno lungo e magro e di qualche anno più vecchio di lei...>>.
    <<Già! L’ho odiato molto, per questo>>.
     <<Il che, però, non le impedì di continuare ad essere il suo maggior fornitore di micce per gli incendi... Ma, mi dica: come mai questa passione di Bakis per i fuochi? Era un piromane?>>
      <<No, era un forestale precario. Lui veniva a San Teodoro a lavorare contro gli incendi, perché in Ogliastra c’erano più forestali che alberi da bruciare... Sa come vanno queste cose, no? Niente incendio e niente assunzione per l’antincendio!>>
    <<Capisco. Comunque, il tempo è scaduto, signor Marrapiccu. E’ ora di prendere il posto del suo vecchio amico>>.
    <<Ma posso sapere almeno com’è morto il mio amico Bakis? Non l’ho più incontrato proprio da quell’anno>> si lamentò Boreddu.
  <<Causa ufficiale della morte: Tuffo a volo d’angelo da scogliera di cinquanta metri>>.
    <<Tuffo dalla scogliera? Ma se Bakis non sapeva nemmeno nuotare>>.
    <<Causa reale: Suicidio per conto terzi...>>.
    <<Vuol dire che l’hanno suicidato? Ma perché?>>
    <<In effetti, c’è qualcosa di anomalo in tutta questa faccenda... Anzi, visto che c’è, una volta entrato nei panni del suo amico, le dispiacerebbe osservare attentamente ciò che accade attorno a lei? Che so: facce strane, voci basse, sogghigni sinistri...>>
    <<Ho capito: mi state rimandando laggiù per fare la spia!>>.
    <<Ma no, che ha capito? A noi basta che lei ascolti soltanto, non che riferisca. Vede, signor Marrapiccu, dal momento del suo trapasso abbiamo subito capito che la sua è una mente superassorbente assolutamente fuori dalla norma, capace di autotrapiantarsi addirittura nei ricordi di un gatto...>>.
    <<E’ vero! Per un paio di secondi ho avvertito nel cervello non solo il dolore del gatto Andreotti, ma anche quello di tutti gli altri gatti del mondo che morivano con me in quel preciso momento, urlandomi nel cervello la loro disperata voglia di vivere>>.
   <<E’ esatto. Le sue cellule cerebrali a “specchio”, situate nel lobo frontale, sono capaci di immagazzinare, durante il trapianto, non soltanto le emozioni del suo ospite, ma anche le sue esperienze più remote e inconsce... Per questa ragione le sto chiedendo di osservare attorno a lei ciò che accade e nient’altro. Poi penserà il nostro P.C.Angel a registrare il tutto attraverso la sua memoria superassorbente e a collocare nel settore più adatto l’anima del suo amico incendiario, togliendolo dal Limbo. Ma lei non deve preoccuparsi per il dopo, perché se non accadranno fatti nuovi, lei potrà rivivere nei panni del suo ex amico e consolarsi con Mintonia...>>
    <<Ma io adesso amo la mia Margherita, anche se, purtroppo, non può darmi un  figlio, perché è sterile!>>
   <<Non c’è più tempo, signor Marrapiccu...>>.
    <<E poi Mintonia era una persona strana... Ci parlava sempre di suo padre che era stato un bandito, un latitante,  e di sua madre che un giorno ricevette il corpo di suo marito completamente squartato come un maiale, e allora lei lo lavò da capo a piedi  con l’annaffiatoio, cantando attitidos di vendetta e sciacquandogli il cuore con acqua di sorgente, per non sporcare il cuscino della bara. Roba da film splatter per spettatori sfigati, insomma!>>
    <<Tempo scaduto! Buona reincarnazione!>>
    <<Bang!>>
















[1] Marito mio stimato/ che sei morto in mare/ Ohi, Bakis marito amato/ chi mi potrà consolare?

sabato 12 marzo 2011

MISTER PARKINSON 10 + NIEDDUKEPIGHE

12.-.03- 11

MISTER PARKINSON 10 + NIEDDUCHEPIGHE

Comunque sia, mi rifiuto di credere che sia trascorso più di un mese dall'ultima puntata di questo Blog, per il semplice motivo che febbraio aveva solo 28 giorni, e il 12 di marzo, cioè oggi, coincide con 29 giorni esatti dall'ultima puntata; dunque, sono in anticipo di due giorni rispetto alla scadenza di un mese.
Quello snobbone di Mister Parkinson, invece, mi prega caldamente di dirvi di scusarlo per tutti questi ritardi, ci-ci-ccì ci-ci-ccì! Blah! In ogni caso, mi associo alle scuse, ma non transigo, perché mi rendo conto anch’io che i tempi vanno quasi sempre rispettati. Se no, che cosa legge, in ialiano, la mia nipote americana, Grazia Enna, mamma di due splendidi bambini e coniugata con Ralph Huges, che è poi un ex marinaio texano maturato alla vita e al matrimonio a  La Maddalena, quando c'erano i marines? E sua sorella Stefania, friulana di adozione, che vive a Tarcento, nell’Udinese, in piena zona leghista, in che lingua mi leggerà? Nel dubbio, le abbraccio tutt’ e due.
Dunque, che cosa è successo in questo scarso mese? E' successo che mio figlio Bruno si è offeso perché la volta scorsa gli ho attribuito un anno in più di età: 43 anziché 42, compiuti fra l'altro lunedì scorso. Lo so, per un padre qualunque è imperdonabile un errore simile, ma io godo delle attenuati generiche dovute all’età e alla presenza, sia pure apparentemente discreta, di Mister Parkinson, che è pur sempre una scusa plausibile, anche se non ha niente a che vedere con la memoria. Però, quando serve, serve... Ora, per esempio posso dire che Stefano, il primogenito, ha 45 anni compiuti (o sono 46?), mentre Enzo Paolo ne compirà 44 tra un mese. E' utile conoscere questi dati (o date)? Nemmeno per sogno, però fa notizia da trasmettere per Blog.
A proposito di Mr Parkinson: ieri ho rivisto il mio neurologo, che mi ha analizzato letteralmente da capo a piedi e ha scoperto che il Ropinirolo è un ottimo medicinale, perché non serve solo a riattivare la funzionalità mancante della dopamina, a giocare al Lotto e agli annessi e connessi all'affettività (beh, sì, insomma...), ma ha anche stabilizzato certi meccanismi motori che sembravano andare a lumache. Insomma, almeno per ora, niente pillole in più, ma solo movimento, movimento, movimento. E bae, Frachiscè!! Domani m’iscrivo alla Milano-San Remo.

   Purtroppo, per questa puntata non ho trovato nessun’ “Onda Anomala” da trascrivere sul Blog. In compenso ho un  racconto lungo, diviso in capitoli, praticamente un romanzo, e più precisamente un “Noir”, anzi un “Sardonik Noir”, o addirittura una fiction surreale, collegata alla M.R.S. (Metempsicosi Regione Sardegna), e cioè “Su Liminarzu”: il Limbo riservato al Karma dei balentes e dei trafficanti d’armi. S’intitola “Nieddukepighe” (Nero come la pece) ed è ambientato nei Mondiali di Calcio di Germania del 2006. Che c’entra con la Metempsicosi? Leggete e capirete.
Facciamo così: Io vi pubblico i primi 2 capitoli. Se vi piace, me lo farete sapere attraverso i Commenti del mio Blog o una mail, io pubblicherò il resto nelle successive puntate. Se non vi piace o se non dite niente, chiudo.  Buona Lettura.



Francesco Enna

NIEDDUKEPIGHE
(L’ultimo calcio di rigore)

Sardonik Noir



Capitolo 1
                                                                                  Cantami o Diva dell’ultimo rigore
                                                                                                                   (Homer)
I
Un fulmine a ciel sereno

    Nell’arco della sua vita di piccolo trafficante d’armi e di esplosivi, Boreddu Marrapiccu da Buddusò, noto Nieddukepighe, nero di cuore e scuro di pelle, non era mai stato neppure sfiorato dall’idea della morte. E soprattutto della sua morte. Perciò quella sera del 9 luglio 2006, durante la grande finale tra Italia e Francia ai campionati mondiali di Germania, quando un autentico fulmine a ciel sereno lo colpì in pieno come una saetta da giudizio universale, bruciacchiando ke porcu tutti i peli del suo corpo, egli ci rimase letteralmente di merda. Tanto da non avvertire nemmeno il tuono della scarica di fucile automatico proveniente dal basso, e più precisamente da un muretto a secco del tancato di confine del suo cortile,  esploso appena un millesimo di secondo dopo l’arrivo del raju faladu: il fulmine piombato dal cielo.
   Boreddu non se l’aspettava. Fin da quando si era trasferito in Barbagia non l’aveva mai sfiorato nemmeno il barlume di un sospetto che la sua vita de istranzu invisibile e insospettabile, artificiere asettico e supra partes, mai coinvolto direttamente in faide di balentia,  potesse essere in pericolo. 
     La morte lo colpì con un baleno bianchissimo, che gli attraversò la vita dalla punta dell’indice della mano destra, proteso verso il trasformatore della parabolica del televisore, al tallone della pantofola sinistra, appena sollevato per dare slancio al corpo appesantito da una vita ormai troppo sedentaria. Boreddu non aveva mai visto la morte, ma la riconobbe ugualmente perché fu come trovarsi dentro il bagliore della bomba di Hiroshima, che gli separò l’ombra dal corpo e il corpo dall’anima come una lama di luce nel lividumine d’una tregenda greca.
    Sulle cime del Gennargentu, una Luna antica e grassa ke bacca se ne stette a meditare a lungo silenziosa su quel panorama insolitamente vuoto, come se anche tutti gli animali delle montagne fossero incollati a fissare qualcosa. Lentamente declinò i suoi pallidi raggi indagatori sulle strade delle cittadine e dei piccolo paesi sparsi attorno alle Barbagie e lungo i verdi declivi delle colline turgide declamate da poeti e scrittori,  ma non riuscì a scoprire nemmeno un netturbino intento a ripulire le piazze. Allora esplorò campanili e palazzi, penetrò nelle finestre spalancate per la calura e solo allora si rese conto della strano rito febbrile che sembrava aver colpito tutte le famiglie di quel micromondo, che era poi tale e quale a quello del macromondo circostante, e cioè: piccoli saltelli davanti a dei quadri luminosi di varie grandezze, gridolini acuti e poi esplosioni di entusiasmo, subito soffocati da mugugni di ripensamento.
      Capì di che cosa si trattava quando intravide su un teleschermo digitale a 84 pollici un pallone che tentava disperatamente di sfuggire ai calcioni e ai colpi di testa di un mucchietto di persone in calzoncini e maglietta, sudati che porcos.
     <<Ancora cussugazzu ‘e pallone!>> mugugnò imbronciata.
     Ahi, luna malaitta e menagrama, che prediceva truci tragedie in terra di Germania! 
     Ma fortunatamente, quando si rese conto che nessuno l’avrebbe più degnata di uno sguardo per il resto della nottata, la luna mala decise di andare  a scialbeggiare sui crasti addormentati dell’altra parte del monte.
     In quanto alla scarica di pallottole che era succeduta al fulmine, non solo si limitò a scornacchiare l’ultimo lembo della gigantesca parabolica, di cui Boreddu andava fierissimo,  ma contribuì anche a recuperare definitivamente il segnale del grande evento sportivo.
     <<Sta tirando l’ultimo rigore Fabio Grosso>> fu l’ultima notizia dal mondo che Boreddu Marrapiccu da Buddusò, detto Nieddukepighe, portò con sé nel precipizio estremo. 

II
Il vento, ad esempio

   Non c’era un solo alito di vento, quella sera del 9 luglio, alle undici in punto,  nel momento esatto in cui il calciatore francese Trezeguet mandò a sbattere sulla traversa il secondo rigore per la Francia.  Che cosa, allora, aveva potuto spostare s’antenna tunda del televisore, tanto da costringere Boreddu  Marrapiccu ad abbandonare la comoda poltrona del soggiorno per avventurarsi, in bermuda e canottiera, sull’ampio terrazzo della sua mansarda al secondo piano del palazzo dell’estrema periferia di Neulavè?
   Abbiamo detto che fino al momento del trapasso, nessun segnale aveva messo in sospetto Boreddu sul fatto che la sua vita potesse essere in pericolo. Ma non è del tutto esatto. Di segni che il suo destino fosse giunto a compimento, quella sera, ce n’erano stati tanti, ma lui li aveva attribuiti sistematicamente alla sfiga della nostra Nazionale di calcio.
    Era già l’ora dei rigori.
   <<Adesso tocca a Totti!>> aveva trillato felice sua moglie Margherita Muntone.
    <<Ma quale Totti, che c’è già uscito! Al suo posto è entrato Del Piero, non te lo ricordi?>> le aveva fatto eco Boreddu, che nel suo intimo conservava una ferrea fede juventina  .
    <Toti?!>>  aveva esclamato dal piano di sotto minnannu Galeazzu Muntone, noto Baionetta, bisnonno di Margherita, classe millenovencentouno, che era sopravvissuto a tutte le guerre del ventesimo secolo, compresa la Grande Guerra, dove, da volontario a soli diciassette anni,  si era distinto per l’uso creativo della baionetta, fuori e dentro le trincee, nel glorioso battaglione  de sos dimonios della Brigata Sassari. E aveva aggiunto, dopo un accesso improvviso di tosse che aveva rischiato di rimandarlo in trincea per sempre: <<A cussu cuzzone de Toti, deo bi l’aìa natu... glielo avevo detto a Toti che se non legava una baionetta in punta a s’istampella, manco la barba gli faceva a sos Cruccos>>.
    <<Quello era un altro Toti, nonno! –aveva gridato Margherita dal piano di sopra. - Questo ha due “ti” e si chiama Franziscu, non Enrico>>.
    Era stato proprio in quell’esatto momento che lo schermo del televisore a cristalli liquidi di casa Muntone si era listato di strisce bianconere e le immagini erano affogate  in un mare di bollicine.
    <<Oh, accimusca! - aveva strillato Margherita contrariata - E adesso come facciamo?>>
    <<Dev’essersi spostata la parabolica. Ma ora ci penso io!>> aveva risposto Boreddu, dirigendosi decisamente verso la piccola rampa di scale che portava al terrazzo della mansarda, su cui si trovava la tragica antenna che la luna mala illuminava ancora come la corona di una madonna ferita.
      La fretta, l’entusiasmo, l’incoscienza, la certezza de ferru che nessuno avrebbe mai potuto neppure ipotizzare di organizzare un’esecuzione contro di lui proprio durante l’ultima partita del campionato mondiale, oltre all’errata convinzione che tutti i segnali negativi di quella sera riguardassero la squadra azzurra, non gli avevano consentito di notare il lungo gancio di ferro, proveniente dal cortile sottocasa, che aveva spostato la parabolica, inclinandone il posizionamento verso il basso, con conseguente sparizione del segnale.
      Si era trattato di una trappola bella e buona, con l’intento di richiamare Boreddu all’aperto e di preparare la strada alla scarica di pallettoni che avrebbe dovuto fracassargli il cranio, Splash!, spargendo schizzi di sangue e brandelli di cervello ai quattro venti, come nella migliore tradizione dei cecchini da muretto, se ci fosse stato almeno un alito di vento.  Ma è ormai accertato che il vento non c’era. E non c’era nemmeno il tanto di nuvole per un temporale estivo piccolo piccolo, che avrebbe in qualche modo potuto giustificare quanto accadde subito dopo. Perciò, quello che avrebbe trapassato di lì a poco il corpo di Boreddu Marrapiccu da Buddusò, anticipando inopinatamente la scarica di pallettoni, era stato un autentico fulmine a cielo sereno, regolarmente registrato dal locale Centro Meteorologico.
       Ma prima ancora del fulmine, era arrivato Andreotti: un vecchissimo gatto soriano dal pelo liscio e nero come s’inferru e dalle orecchie a sventola, che viveva libero e infelice che gattu solitariu sui terrazzi del circondario, cercando padroni anche temporanei e distribuendo fusa ruffiane ad ogni antennista della zona.
      Andreotti, dunque, era arrivato prima del fulmine, saltando dal tronco di un vecchio ginepro che ombreggiava il muro laterale del terrazzo, e aveva adocchiato con sguardo cupido i polpacci pelosi di Boreddu, che gli rievocavano forse antichi amori perduti o teneri ricordi infantili.
      <<Va bene così, adesso?>> aveva gridato Boreddu Nieddukepighe, dopo aver spinto verso l’alto la parabola.
      <<Non del tutto, caro: prova ancora>>.
      Il gatto era entrato in azione proprio in quell’istante, abbrancandosi amorevolmente ai peli del polpaccio destro di Boreddu.
     <<Passa via, gatto di merda! Sciò, ché mi elettrizzi i peli!>>.
     <<L’immagine sta sparendo di nuovo, tesoro! Rimettila com’era>>.
     <<Non posso: c’è Andreotti!>>
     <<Ma no che non c’è più! E poi, che te ne frega, ormai? Non l’hanno fatto nemmeno presidente del Senato...  Tieni su l’antenna, ché mi fai perdere Buffon>>.
      Proprio a questo punto, la voce da chioccia col catarro di tzia Redenta Madonta si era sovrapposta con accenti cupi a quella di Margherita e aveva sentenziato, trapanando fin nel profondo la fiducia nella vita di Boreddu:
      <<Cussu Andreotti ha su coro de iscarzoffa! Il cuore di carciofo ci ha, quell’Andreotti!>>
      Tzia Redenta Madonta Muntone, figlia di  primo letto di nonno Galeazzu, parlava pochissimo e solo quando doveva giudicare una persona; ma quando parlava, non sbagliava mai. Lei possedeva il dono de s’avvisu, della premonizione, e il suo occhio sinistro, che era più nero del carbone e anche un po’ strabico, centrava sempre il bersaglio. A lei bastava guardare negli occhi una persona, anche solo in Tv, per stabilire che tipo di cuore aveva. A volte anche il fegato o i polmoni... E poi ci aveva pure due tasche piene di crasti di granito con sopra delle iscrizioni magiche che  servivano a individuare i malanni della gente e a combattere il malocchio. Ma più spesso anche a spiaccicarlo sul destino di qualcuno, il malocchio. Le bastava trovare il sasso giusto e lei sapeva subito chi aveva la diarrea e chi no. E non stava lì a mandartelo a dire: <<Tu ci hai il malocchio all’istintino e domani ti viene la diarrea>>. E l’indomani succedeva deabberu, soprattutto di venerdì santo o di Ognissanti.
   Una volta, si  raccontava in paese, la veggente era rimasta muta per un anno intero - se non qualche grugnito di tanto in tanto e qualche respiro profondo premonitore -,  e quello era stato un vero periodo di rinascita e di felicità per l’intera comunità paesana. Poi, la notte di Ognissanti, tzia Redenta Muntone aveva guardato per caso negli occhi la figlioletta di Jubanne Canu, il sindaco di Neulavè, e aveva sentenziato: <<Custa pitzinna hat su coro canu: questa bambina ha il cuore bianco>>. In tutto il paese era sceso il gelo. Che cosa significava che la figlia del sindaco aveva il cuore “canu”? E chi ha un cuore bianco, a quale futuro può aspirare? O forse per canu ella intendeva che anche il cuore della bambina si chiamava Canu, come il resto del corpo e della famiglia? Nel dubbio, la bambina fu mandata da parenti a Cagliari, dove studiò e si laureo a pieni voti, dimenticando completamente la sinistra premonizione di tzia Redenta Madonta, la veggente.  Comunque, pro su sisi o pro su nono, il sindaco Jubanne aveva deliberato in consiglio comunale per un vitalizio a nome di tzia Redenta, da assegnare alla nipote Margherita Muntone affinché se la  tenesse ben rinchiusa in casa per tutto l’anno solare, comprese le feste comandate.
      Quella sera della grande finale, tzia Redenta aveva dato fondo a tutte le sue capacità di preveggenza praticamente ad ogni passaggio sbagliato dei nostri calciatori o ad ogni tocco dei francesi.
     <<Non mi piace per niente! – borbottava tra sé e sé a partita appena iniziata. –  Como nde falat su raju: il fulmine ne cade, adesso!>>.
     E il fulmine era arrivato puntuale al sesto minuto del primo tempo con il rigore di Zinedine Zidane che aveva messo sotto la  nazionale italiana. Boreddu era  allora subito corso ai ripari, inviandola di sotto con la scusa di farle recuperare un fiasco di vino novello che a tzia Redenta piaceva tanto, permettendo così a Materazzi di segnare il pareggio al 19° del primo tempo. Ma il rombo di quel fulmine imminente aveva aleggiato sinistramente per quasi tutta la partita.
      << Materazzu?! – aveva esclamato minnannu Galeazzu, al momento del gol del nostro difensore. – Dev’essere lo stesso Materazzu di Calangianus, che ho conosciuto durante la guerra del Carso... Ma non l’ho mai visto saltare, perché camminava sempre rasoterra per non farsi beccare dai cecchini>>.
      Detto solo per inciso, anche nonno Galeazzu viveva con Boreddu e Margherita semplicemente perché quella era stata da sempre la sua casa, che i due nipoti avevano completamente restaurato, grazie alle tre pensioni di guerra di minnannu Galeazzu Muntone, universalmente noto Baionetta
       Per ritornare a bomba o, meglio, al fulmine assassino, forse era stata proprio la concomitanza dell’elettrizzazione dovuta al contatto dei suoi peli con quelli del gatto, oltre al gelo per la parole di tzia Redenta, a determinare in Boreddu Marrapiccu l’inconsulta reazione che l’aveva condotto a sferrare un destro micidiale sulla pancia del gatto Andreotti, mandando il povero animale a sorvolare il muretto del terrazzo e facendolo sparire  verso il cortile. Ma non basta. Al calcione l’uomo aveva accompagnato un perentorio e soddisfatto: <<Crebadu t’agattene!>>
    E il gatto questa volta era crepato sul serio. Forse per l’avvilimento di quel calcio inaspettato, forse per la rassegnazione dovuta all’età e alla stanchezza di una vita  senza soddisfazioni, il vecchio gatto nero dalle orecchie a sventola non aveva tentato quella volta nemmeno di evitare l’ostacolo rappresentato dall’asta di ferro dello stenditoio del primo piano della palazzina, e aveva lasciato che il cranio ci sbattesse contro con violenza mortale.
   Con uguale violenza e millimetrica sincronia, il cielo sereno aveva saettato il fulmine vendicatore contro l’indice di Boreddu proteso verso il miscelatore, schiantandone con un bagliore accecante la forte fibra vitale e lasciando di merda la sicurezza dell’ignoto cecchino del muretto dabbasso. Ma senza l’anticipo di quel fulmine assassino, è assai probabile e anzi zertu che Nieddukepighe avrebbe riconosciuto l’inconfondibile botto del Browning semiautomatico che egli stesso aveva limato e adattato per consegnarlo il giorno prima ad Achille Limbasicca di Talasuni, ex fidanzato segreto e irrimediabilmente non corrisposto di Margherita Muntone in Marrapiccu.
     E tuttavia, il colpo secco di fulmine e il rombo del fucile, in quel milionesimo di secondo, non giunsero alle orecchie di Boreddu, perché furono coperti dal boato liberatorio che scosse l’Italia intera, dalle Alpi a Lampedusa:
     <<Gooooool!>>
     Il giovane terzino sinistro della nostra Nazionale, Grosso di nome e rovente di piede, aveva segnato l’ultimo rigore, assegnando il titolo di Campione del mondo alla squadra italiana.
     Ma nemmeno l’eco di quel boato fece in tempo a giungere alle orecchie di Boreddu, perché mentre il suo corpo si frantumava nel bagliore di Hiroshima, egli avvertì, come per una sovrapposizione astrale , lo stesso identico dolore che stava stroncando la vita del gatto Andreotti. E insieme al dolore, in quel milionesimo di secondo che lo separava dalla sua esistenza terrena, sentì anche lo strazio d’una vita felina completamente inutile, mentre nel lampo vivido dell’esplosione atomica vide passare davanti ai suoi occhi sequenze di veloci comignoli conosciuti, di gattine profondamente amate e di padroni disperatamente desiderati.
     Così, dunque, muoiono i gatti vagabundos?  E i piccoli trafficanti d’armi da guerra, allora? I neri di cuore e senza volto come lui? Niente. Nemmeno la più piccola sequenza del pur lungo film della sua vita gli attraversò la mente nel momento del fatale trapasso.
      Pro amore de veritade, tuttavia, un paio di brevissime sequenza della sua vita Boreddu Nieddukepighe le aveva riviste, ma risalivano:
     a) all’inizio del secondo tempo supplementare della partita di finale;
     b) a non più di quaranta minuti prima dell’incidente.
     Per avere visone delle sequenze in questione, occorre effettuare un ulteriore brincu indaesegus, un salto all’indietro, ovvero un “flash-back”. Anzi, due.




Capitolo 2

                                                                                         “Om è l’arco, la saetta e l’anima,
                                                                                          bersaglio della saetta è Braham,
                                                                                          da colpire con immobile certezza”
                                                                                                                (Siddharta)

                                                                                                         
I
Je suis Catherin Deneuve

     Breve sequenza di gioco. Poi fermi tutti. Siamo ai primi minuti del secondo tempo supplementare della finalissima di Berlino. C’è aria di forte tensione tra gli azzurri, mentre i transalpini fanno finta di niente e cascano letteralmente dalle nuvole: “Ouì, ouì. ouì, lalalalà, jé né sé pà”...  
     Il telecronista italiano ne sa meno di tutti e ipotizza un qualche attacco di dissenteria da parte dell’arbitro messicano. Boreddu guarda con aria di rimprovero tzia Redenta, che fa spallucce come a dire che issa no b’intrata nemmeno un po’. Infine la moviola torna indietro e mostra il fattaccio.
    E’ proprio in questo preciso istante che minnannu Galeazzu Muntone avverte l’impulso irresistibile di scendere al piano di sotto.
    <<Dove andate, nonno?>> gli chiede Boreddu.
    <<Al cesso! E inue, si nono?>>
   <<Volete che v’accompagni?>>
   <<Nono-gazzu! Almeno a pisciare già bi la fatto ancora!>>
     Dopo alcuni secondi, viene inquadrato il difensore Materazzi ( <<Materazzu, gazzu! Materazzu su calanzanesu!” precisa caparbio minnannu Galeazzu, mentre scende le scale), che scambia alcune parole di circostanza con l’attaccante francese Zinedine Zidane. Segue un breve scambio di battute e poi il francese ritorna indietro con l’aria di chi dice: <<Non ho capito, scusa...>>. Dopo di che, sbang!, scarica sullo sterno di Materazzi una testata degna di un toro e lo stende a terra.
    <<Ma comente... – grida Boreddu: – Ma che cavolo è successo?>>
    <<Ana natu cosas: hanno detto cose...>> borbotta tzia Redenta, che da sordomuta volontaria per gran parte dell’anno ha imparato a capire la lettura labiale.
    <<Che cosa hanno detto, tzia Redenta?>>.
    <<Quello alto, il calanzanese, gli ha detto al pelato: “Ohe, Zizù: a lu sai che l’altra sera mi sono fatto a quella bonazza di Caterin Denev?!” E allora l’altro, incazzato che pibera, ha risposto: “Tu hai insurtato Catrin Denev, e Catrin Denev è una sorela pur muà e pur tu le fransé!”>>
     <<La bocca della verità!>> proclama Boreddu trionfante, a futura memoria, mentre tzia Redenta continua la sua telecronaca:
     <<E daboi, sbang!:  un’istumbata che trau: una testata come un toro focoso gli ha dato!>>. E gli occhi della veggente sembrano aver finalmente ritrovato la luce.
    <<Ohè, tzia Redenta! – la redarguisce Boreddu:– Non ti metterai a fare il tifo per i francesi, adesso!>>
    <<Mi’ chi nono!>> nega con forza tzia Redenta, puntando il suo occhio ballerino sulla nuca del francese pelato. Pochi secondi dopo, un cartellino rosso spedìsce Zinedine Zidane, noto Zizou, verso gli spogliatoi col passo mesto d’un cane bastonato.
   <<Bellu colpu, tzia Redenta!>> si complimentano con trasporto Boreddu e Margherita, mettendo in forte imbarazzo la vecchia veggente dagli occhi micidiali, che ha appena intravisto un altro cartellino, molto più rosso e molto più vicino a loro di quello di Zidane.

II
Alla ricerca del Karma

    41° del secondo tempo della partita. Lo scambio tra Franziscu Totti, anche lui ormai senza stampelle, e il sempreverde Del Piero era appena avvenuto. Minnannu Galeazzu dormiva alla grande sprofondato nella sua poltrona; tzia Redenta Madonta Muntone, distesa sul divano, sonnecchiava anche lei con l‘occhio strabico, mentre con quello sano guardava la partita e scuoteva continuamente la testa, mettendo in apprensione Boreddu e Margherita, i quali tenevano gli occhi puntati sul televisore e sudavano, esultavano, si avvilivano, sempre tesi come corde di violino, in attesa di quel maledetto secondo goal che non arrivava e che avrebbe scacciato via l’incubo della maledizione dei rigori.
    All’improvviso, una violenta scampanellata all’ingresso dabbasso li riportò alla realtà. Per qualche secondo si guardarono in faccia imbambolati, come a chiedere conferma delle rispettive capacità percettive. Poi il campanello squillò nuovamente e Margherita scattò verso le scale per il piano terra  veloce come Cannavaro.
    <<No, aspetta! – la fermò Boreddu – E’ meglio che vada io: potrebbe essere un cliente. Tu sta qui a guardare la partita, e non perderne nemmeno un’azione>>.
    Boreddu  scese, dunque, la breve rampa di scale e andò ad aprire la porta. Ed ecco apparire per la prima volta in questa vicenda il viso tondo e olivastro di Rashid, un pataccaro tibetano, specializzato in coralli e scaramazze, con vocazione misteriosofica: occhi nerissimi, sguardo magnetico, mani svelte e lingua sciolta.
    <<Buona sera a te, mio caro compare Nero ke pece>>.
    <<Oh, Mandrake, sei ancora tu?... T’ho detto mille volte che per te e per tutti io sono Boreddu, va bene?! E non sono tuo compare!>> rispose Boreddu visibilmente seccato.
   <<Tu non arrabbiato con me, ti prego. Anche tu mi chiama me Mandrake, e io invece sono Rashid di Lhasa>>.
    <<Va bene, va bene, d’accordo! Dimmi quello che vuoi e facciamola finita>>
    << Io ha bisogno di cinque panetti di tritolo>>.
    <<Cinque panetti di che cosa? Ma sei impazzito?!>>.
    <<Io ho soldi, io pago>>.
    <<Lo so bene che paghi, ci mancherebbe altro! Ma dove li trovo, io, a quest’ora, cinque chili di tritolo? Mica li tengo in casa! E poi, che te ne fai di tutto questo esplosivo?>>.
     <<Ora ti spiego io a te... Tra dieci giorni a domani, viene in Italia, a Roma, il ministro degli esteri di Cina, che occupa il mio paese, il Tibet...>>.
     <<Okay, e chi se ne frega!>>.
     <<Non frega a te, ma a noi della Fronte di Liberazione di Tibet da tirannia di comunisti cinesi ci frega moltissimo>>.
     <<Va be’, ma quello arriva a Roma, perciò vattelo a cercare a Roma, il tritolo!>>
    <<No, a Roma è troppo pericoloso... E poi noi sa che ministro viene qui in Sardegna, in incognita, in Costa di Smeraldo...>>
    <<In incognito in Costa?! Vorrei proprio vederlo, magari da Berlusconi...>>
    <<Anch’io voglio vedere lui, prima di saltare in aria!>>
    Boreddu entrò in paranoia:
    <<Ohè, Rashid, un momento! Non vorrai dirmi che farai il kamikaze, eh? Qui di queste stronzate non ne vogliamo vedere, hai capito?>>.
    <<Tranquillo, amico! Neanche a noi piace stronzate: quelle noi le fa fare agli irakeni... Lui saltare in aria con macchina da solo>>.
    <<E come fai?>>
    <<Magia, Boreddu amico mio: semplice magia, con l’aiuto di qualche panetto di tritolo>> rispose Rashid facendo scintillare gli occhi di perla e agitando nell’aria le sue lunghe dita olivastre.
    A questo punto,  dall’alto, la voce di Margherita si sovrappose a quella del telecronista della partita e interruppe la conversazione:
    <<Boreddu, tesoro: guarda che proprio ora è entrato Del Piero>>.
    <<Di nuovo?! Ma non era già entrato poco fa, al posto di Totti?>>.
    <<Sì, ma prima era pelato, mentre adesso ha tutti i capelli... Deve avere ancora bevuto quell’acqua con l’uccello>>.
   <<Ma come parli, Margheri’! Che uccello e uccello!>>.
    E la voce sempre più eccitata di Margherita rispose dalla stanza di sopra:
   <<Aspetta, aspetta... In questo momento si sta preparando ad entrare Roberto Baggio>>.
   Boreddu spalancò la bocca e la tenne spalancata a lungo. Poi si scosse e commento:
   <<Baggio?! Ma siamo impazziti? Quello non gioca più da due anni!>>.
    La voce di Margherita sembrava ormai provenire da un mondo arcano e remoto:
    <<C’è anche Gigi Riva che si sta riscaldando>>.
   <<Riva!? Ma se avrà almeno sessant’anni>> si lasciò scappare Boreddu, sempre più frastornato.
    <<Non lo so quanti ne ha – rispose la voce lontana di Margherita -, però in questo momento sta per entrare Gianfranco Zola>>.
    Boreddu si appoggiò alla pianta di ficus, rischiando di capovolgersi con essa.
    << Ma che cavolo di Mondiale è questo!? - si lamentò. – Zola si è ritirato l’anno scorso!>>.
    <<Quando messa non funziona, si fa appello a tutti i santi!>> sentenziò Rashid. E aggiunse: <<Io già visto questa partita. Italia batte Francia ai rigori sei a quattro... Allora facciamo tre panetti di tritolo?>>
    <<T’ho già detto che non ho tritolo in casa: non sono mica scemo... Ma che significa che hai già visto questa partita? Non mi dirai che è in differita!>>
    Rashid levò gli occhi al cielo, congiunse le mani e rispose con aria ispirata:
   <<Io visto in altra vita. Io già fatto tre campionati mondiali di calcio  in due reincarnazioni... Metempsicosi, tu capisce?... Allora, due kilo?>>
    Boreddu barcollò vistosamente:
   <<Qui qualcun mi sta prendendo per il culo! E che cos’è questa storia della  metepsi... cosa?>>
    Fu allora che Rashid, detto Mandrache, scatenò la sua libidine misteriosofica:
    <<Tu ricorda Platone, grande filosofo? Qui, in tua testa, anima razionale: molto logica, grande ragionamento, due più due quattro kilo... Poi qui, in tuo cuore, anima eroica, molto coraggiosa, grande patriota balente: forza paris, forza Italia... E qui, in tuo pirillino, piri-piri-piri, anima concupiscente... Tu concupisce?>>.
    <<Beh, sì, certo - rispose Boreddu imbarazzato, portando le mani in basso, a istintiva difesa delle palle: - almeno una volta la settimana>>.
    <<Sempre che  non ci sia la partita>> precisò dall’alto Margherita, che per questi argomenti aveva un udito finissimo.
    <<Vabbe’, ma che c’entra tutto questo!>> s’inalberò Boreddu.
    <<Io Rashid – rispose Rashid di Lhasa – e ho cercato Karma che è mio destino, e mio Karma è buono per Metempsicosi. Prima reincarnazione, mia anima concupiscente in maialo. Seconda reincarnazione, mia anima eroica in centramento...>>
    <<Centramento?!>>.
    <<Centravanti di sfondamento in Nazionale tibetana: io eroe nazionale, sì. E adesso, per mia terza reincarnazione, mia anima razionale cerca supremo Nirvana filosofico per vincere passione dei sensi... Va bene uno kilo? Io pago>>.
    La voce del telecronista aveva intanto assunto un tono eroico, da cinegiornale dell’istituto Luce:
    <<Ma ora, in un tripudio di folla plaudente, fanno il loro ingresso in  campo Roberto Baggio, Gigi Riva e Gianfranco Zola, mentre ai bordi del terreno di gioco, lungo la pista, si stanno riscaldando il Presidente emerito Francesco Cossiga e il Governatore della Sardegna Renato Soru!>>
    <<Forza paris!>> urlò Margherita, saltando per tutto il piano superiore con le mani chiuse a pugno.
    <<Mezzo kilo?>> incalzò implacabile Rashid.
    Boreddu si passò una mano sugli occhi, poi gonfiò il petto e infine ruggì sordamente:
    <<Sentimi bene, Alì Babà delle mie palle! Da quando tu hai messo piede in questa casa, stanno succedendo cose turche qua dentro. Perciò tu adesso mi aspetti qua sotto due minuti, io ti porto la tua roba, ma dopo tu... scarpinare, chiaro? Esci dalla mia casa e dalla mia partita, ve bene?>>.
    Ciò detto, Boreddu fece per infilarsi nella porta della cantina, quando si sentì la voce del telecronista che commentava una surreale partita, completamente fuori dal tempo:
    <<Ed ecco che Zola riceve il pallone direttamente da Baggio e la passa sulla sinistra a Riva, che s’invola eroicamente con la sua veloce falcata...>>
    <<Riva grande campione, molto  balente... – esclamò Rashid. – Ma lui non spara da dietro i muretti...>>.
    L’ultima battuta di Mandrake arrivò alla coscienza di Boreddu come una stilettata di luce che gli trapanò il cervello, riportandogli cuore e memoria ad un passato lontanissimo, che credeva di aver dimenticato per sempre:
    <<Che cosa hai detto?>> esclamò guardando il pataccaro tibetano con occhi spiritati.
    <<Io detto solo che Riva è stato grande campione>> rispose Rashid con una gran faccia da schiaffi.
    A Boreddu non restò che precipitarsi in cantina, dove rimase dieci secondi contati: il tempo sufficiente a recuperare un vecchio tascapane militare e a portarlo nell’appartamento.
   <<Ecco qui! – esclamò con affanno. – Qui dentro non ci sono panetti di tritolo, ma tre bombe a mano tedesche della seconda guerra mondiale. Con queste puoi far fuori tutti i ministri che vuoi, va bene?>>
    Rashid era perplesso:
    <<Se tu dice che è stessa cosa di tritolo, io ci credo, compare Marrapiccu. Ma come funziona?>>
   Boreddu tirò fuori una grossa bomba a mano e indicò la linguetta:
   <<E’ facilissimo! Tu devi solo tirare questa linguetta e contare fino a dieci...>>
   <<Dieci come dita di mano?>> esclamo Rashid, aprendo le sue manone.
   <<Esatto! Ma quando finisci di contare le prime cinque dita, non mettere la bomba tra le gambe, per contare con l’altra mano, hai capito? Se no ti saltano le palle>>.
   <<Tranquillo!>> ribatté Rashid, tirando fuori dal taschino un pacco di banconote e afferrando al volo il tascapane. E aggiunse, prima di uscire dalla stanza: <<Tu brava persona... Tu ricorda, compare Nero ke pece,  quando tu morire...>>.
   <<Oh, ma non sai parlare d’altro?>> protestò Boreddu.
   <<Magari fra cinquant’anni, va bene? Quando tu andare lassù, tu chiede il tuo Karma, hai capito? Karma è il tuo destino>>.
   Così aveva parlato Rashid il tibetano, detto Mandrache il saggio. E nell’attimo del trapasso, subito dopo l’attacco micidiale del fulmine a ciel sereno, Boreddu Marrapiccu da Buddusò aveva trattenuto per un milionesimo di secondo proprio questa sequenza:
    <<Karma solo conta – diceva la voce lontana di Rashid: - Karma è il tuo destino>>.
    Splash!
    Ma ormai l’illuminazione era arrivata.
    Così, quando i neuroni della sua mente, ormai scissi dalle molecole fisiche e trasformati in pura energia, si dispersero nel tempo e nello spazio, sconosciuti a se stessi, a Boreddu non fu difficile riunirli in squadra, perché gli era noto il suo destino. E dopo aver superato l’imbarazzo della “prima volta”, fu in grado di presentarsi a chi di dovere e di domandare con voce sicura:
    <<Scusi... per il Kamasutra?!>>